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Chi è Giovanni Cobolli Gigli Giovanni Cobolli Gigli, 66 anni, ha un percorso manageriale sviluppatosi prima nel campo dell'editoria, ricoprendo l'incarico di Amministratore Delegato del Gruppo Editoriale Fabbri e della Arnoldo Mondadori S.p.A, poi nel settore della distribuzione come Amministratore Delegato del Gruppo Rinascente. Già Presidente di Federdistribuzione dal giugno 2003 al giugno 2006, da febbraio 2011 è tornato al vertice della Federazione dopo l'esperienza come Presidente della Juventus F.C. S.p.A. |
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Il ritorno in Federdistribuzione di Giovanni Cobolli Gigli, a febbraio 2011, era stato foriero di cambiamento; poi è arrivata la crisi e ha fatto il resto: l'arrivo di alcune liberalizzazioni e, a fine dicembre, l'uscita da Confcommercio.
■ Le liberalizzazioni hanno preso il via: scatta la fase due?
La "fase 2" è una vera priorità. Finora, il Governo è intervenuto per mettere in sicurezza i conti dello Stato, riequilibrando una situazione davvero critica. È stato, quindi, un intervento necessario, ma pesante per le famiglie: a regime, nel 2014, la manovra del 2010, le due di questa estate e l'ultima del Governo Monti ammonteranno ad un valore complessivo di 106 miliardi (4.322 euro per famiglia) che, se si considerano solo gli interventi che direttamente impattano sui redditi, comporteranno un costo per nucleo familiare di 2.750 euro, pari al 6,8% del reddito disponibile. Fatto ciò, bisogna ora pensare a ridare respiro a un'economia che altrimenti rischia di soffocare ulteriormente: senza crescita, tutti gli obiettivi di bilancio previsti risulterebbero irrealizzabili, condannandoci a ulteriori manovre, creando così un circolo perverso estremamente pericoloso. E, a nostro avviso, le liberalizzazioni sono una chiave di volta per innescare la ripresa, che dovrà essere sostenuta anche da un processo di efficientizzazione della Pubblica Amministrazione e da risorse recuperate dalla lotta all'evasione e dalla parziale vendita dei beni dello Stato.
■ Nascono, dunque, nuove opportunità, saranno anche stimolo per un retail meno omologato?
Più concorrenza e più libertà d'impresa nei mercati hanno principalmente l'obiettivo di rilanciare l'economia del Paese introducendo più efficienza e produttività nel sistema. Certamente, per quanto riguarda il retail, contribuiranno anche a differenziare l'offerta. Le imprese avranno più opportunità, rispetto ad ora, di calibrarla rispetto alle esigenze dei consumatori, in termini di prodotti e servizi. Mi aspetto, quindi, che ciascuna insegna lavori sulla propria identità in modo marcato, consolidandola o rinnovandola in base alle strategie scelte, magari articolandola anche in base alla presenza territoriale.
■ Pensando agli Istituti di pagamento extrabancari: potrebbero nascere vantaggi finanziari per consumatori e fornitori?
Nel nostro Paese, secondo il regolamento emanato dalla Banca d'Italia, per diventare istituto di pagamento occorre garantire standard del tutto analoghi a quelli degli istituti bancari, sottoponendosi agli stessi controlli di questi ultimi. In pratica significa diventare una banca. Ciò rende difficile l'applicazione della direttiva comunitaria originaria, che voleva liberalizzare il mercato e aprirlo a nuovi concorrenti. Il risultato è stato che nessun operatore distributivo è diventato istituto di pagamento, anche se c'è stato chi ha costituito un istituto bancario. Mi pare difficile che questa situazione possa modificarsi a breve: infatti, per fornire un nuovo servizio ai propri clienti, un retailer dovrebbe convenzionarsi con una banca, che per questo accordo chiederebbe una commissione. A questo punto, potrebbe essere difficile avere economicità di sistema e procurare risparmi per il consumatore, così come chiede la direttiva comunitaria. Lo dimostra il mercato: le bollette alle Poste si pagano 1,10 €, la stessa bolletta, pagata presso altri operatori, che oggi accettano i pagamenti e che non sono di carattere bancario, ha costi ben superiori.
■ La nota dominante del governo Monti pare essere quella del concorso allargato a tutti: il retail potrà portare il suo contributo, per esempio sul tema miglioramento dei tempi di pagamento?
La distribuzione vuole portare il suo contributo, e lo farà in modo determinato. Più viene concessa libertà d'azione all'imprenditore e più sono convinto che il sistema nel suo complesso ne potrà trarre vantaggio. Penso ai consumatori, che avranno sempre maggiori tutele al loro potere d'acquisto, ma anche al miglior servizio che potremo offrire in termini di giorni e orari d'apertura e alla maggiore efficienza che potremo stimolare all'interno delle filiere. Anche la questione dei tempi di pagamento potrà migliorare con la ripresa dell'economia: il ritardo spesso denunciato non è una questione generalizzata del settore, ma riguarda le imprese che, a causa della crisi e del blocco del credito da parte delle banche, hanno dovuto intervenire sul loro complessivo ciclo finanziario, coinvolgendo in questo processo anche i pagamenti ai fornitori. Faremo il possibile per non aggravare la situazione di fornitori, ma è indispensabile che il Paese si rimetta in moto.
■ Sempre sulle liberalizzazioni. Che cosa faranno i vostri associati per tranquillizzare i dipendenti? In tempo di recessione, saranno in grado di fare nuove assunzioni per non pesare sui dipendenti in essere? Che tipologie di contratto vedete più fattibili?
Come già detto, ciascuna azienda si muoverà sulla base delle proprie strategie, che saranno individuate trovando un bilanciamento tra il miglior servizio ai consumatori e l'equilibrio del conto economico. Non si può, quindi, definire una modalità comune, ma assisteremo a una pluralità di comportamenti che daranno una ulteriore testimonianza della vivace concorrenza che ci caratterizza. Continueremo anche ad assumere, perché i piani di sviluppo proseguono, sebbene non con la velocità di qualche anno fa, augurandoci che ammodernamenti della rete e nuove aperture siano stimolate dalle semplificazioni e dall'eliminazione di vincoli introdotte con il decreto "Salva Italia". Tra le diverse forme contrattuali siamo molto interessati al contratto di apprendistato, soprattutto dopo il superamento delle precedenti difficoltà di impiego con il recente provvedimento che ne semplifica la materia e la rende omogenea sul territorio, riconfermando un ruolo importante alla formazione aziendale. Così come continueremo a favorire la possibilità di lavoro part time, strumento che, oltre ad essere importante per una buona organizzazione del lavoro, favorisce una significativa presenza femminile nel settore.
■ Come pensate di arginare regioni e comuni che si muovono per fermare le aperture?
Per quanto riguarda i comportamenti degli enti locali, in reazione al decreto "Salva Italia" sugli orari di vendita, la nostra posizione è chiara: riteniamo un diritto acquisito il contenuto dell'ultimo provvedimento del Governo Monti che valutiamo inoppugnabile e segnaleremo all'Antitrust ogni situazione che ne risulterà in contrasto. Inoltre, le nostre aziende associate ricorreranno al Tar ogniqualvolta le Amministrazioni locali adotteranno ordinanze limitative della facoltà di apertura domenicale e festiva dei punti di vendita.
■ Molta parte dell'attenzione è concentrata su quanto succede a Roma. C'è il rischio di trascurare Bruxelles? In tema di Pl/antitrust vi sentite sufficientemente tutelati?
Siamo attenti a ciò che succede sia a Roma che a Bruxelles. Il tema della marca del distributore è per noi prioritario. Abbiamo già avuto modo di illustrare il nostro pensiero all'Antitrust a Roma nell'ambito dell'indagine conoscitiva che l'Autorità sta svolgendo e stiamo monitorando l'evoluzione della situazione in Europa. Siamo convinti che le private label siano un'opportunità di collaborazione tra GDO e piccole e medie imprese e non una minaccia per loro, oltre che un'opportunità per i consumatori e argomenteremo questa posizione anche a Bruxelles, in accordo con l'intero settore distributivo.
■ La vostra uscita da Confcommercio non ha sorpreso nessuno, anche se Sangalli, nell'intervista a Mark UP di dicembre, dichiarava: "Uniti per essere più forti"; parafrasando Sangalli: "Divisi per essere più …
La decisione di operare in forma autonoma è il risultato di un processo che si è consolidato nel tempo. Abbiamo, negli anni, maturato una nostra visione del commercio: vicino ai bisogni dei cittadini e in grado di rappresentare un volano positivo di nuovo sviluppo per il Paese. Una visione che vogliamo trasmettere agli altri soggetti senza intermediazioni, contribuendo così direttamente a costruire l'Italia del futuro. Con Confcommercio, c'è stata una lunga e proficua collaborazione e sono convinto che avremo anche in futuro occasioni per collaborare su obiettivi comuni.
■ Che cosa rispondete a chi sostiene che gli orari allungati siano solo un mezzo per far chiudere i piccoli esercizi? Che conseguenze avrà per la d.o.?
Sul tema della chiusura dei punti di vendita, legata alla facoltà di poter aprire nelle domeniche e nei giorni festivi, ci sono molte voci che vanno contestate. Il mondo del commercio si sta progressivamente liberalizzando dal 1998 e finora non vi sono stati effetti negativi per i piccoli esercizi. Una recente ricerca di Trade Lab, che analizza i cambiamenti del tessuto distributivo, dal 2000 al 2010, sulla base di dati elaborati dal Ministero dello Sviluppo Economico, evidenzia come il numero di esercizi commerciali in sede fissa sia aumentato nel decennio: erano 721.000 nel 2000 e sono 777.000 nel 2010. In questo arco di tempo la distribuzione moderna è passata da 40.000 a 54.000 punti di vendita, ma anche il dettaglio tradizionale è cresciuto da 681.000 a 723.000 unità. Dunque, 56.000 esercizi in più nel decennio, di cui 14.000 della Distribuzione Moderna e 46.000 del dettaglio tradizionale. A questi numeri bisogna poi aggiungere gli ambulanti, una realtà in sviluppo costante: +9,1% tra il 2004 e il 2010, passando da 157.000 a 171.000 unità. E questa tendenza non si è arrestata con la crisi: sempre, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, riportati in un articolo del Sole 24 Ore del 13 gennaio, si afferma che, complessivamente, nel primo semestre del 2011, il saldo degli esercizi commerciali conta un aumento di 2.277 unità.
Lo sviluppo distributivo ha conservato negli anni un equilibrio tra piccolo dettaglio, ambulanti e aziende della distribuzione moderna, mantenendo complessivamente quella capillarità tipicamente italiana che caratterizza il nostro settore. Cosa si può ipotizzare ora per il futuro? Il provvedimento "Salva Italia" prosegue sulla strada dell'ammodernamento del settore, dando la possibilità al commercio di ulteriormente allinearsi ai bisogni dei cittadini. Un altro passo in un cammino già avviato. Ciascuna azienda, grande o piccola che sia, della grande distribuzione o della distribuzione organizzata, farà le proprie scelte, ma ancora una volta chi riuscirà a sfruttare il cambiamento potrà svilupparsi, e anche il dettaglio tradizionale ha dimostrato di saperlo fare, attraverso la specializzazione, più servizio e cambiamenti nell'offerta: non è da prevedere, quindi, una diminuzione del numero dei piccoli commercianti ma un rinnovamento che avrà effetti positivi sia sulla struttura distributiva che sui consumatori.
■ Come prosegue il cammino con Ancd e Ancc e soprattutto con Centromarca e l'idm?
Abbiamo buoni rapporti con tutte le associazioni di rappresentanza sia del mondo distributivo sia di quello industriale. L'obiettivo è quello di trovare terreni di dialogo e di confronto su temi e obiettivi condivisi. In questo momento abbiamo una preoccupazione comune, quella relativa alla debolezza dei consumi e alle poco rosee prospettive per il futuro più prossimo. Stiamo lavorando sulla condivisione dello scenario e sull'analisi delle possibili vie d'uscita dalla crisi, trovando, ad esempio, un momento d'incontro sulla necessità di nuove liberalizzazioni. Con l'industria rimangono poi aperti i tradizionali motivi di discussione, ma questo fa parte della naturale dialettica tra diversi attori della filiera che però condividono una necessità: quella di orientare le proprie decisioni sui bisogni dei consumatori.
■ Che cosa vi aspettate ora da Confcommercio?
La nostra decisione di uscire da Confcommercio non prevede ripensamenti, quindi, non si può parlare di eventuali "concessioni tardive" da parte della Confederazione. Da ora in avanti, ci aspettiamo un comportamento corretto, sia a livello nazionale sia locale, nel reciproco rispetto che due importanti associazioni di rappresentanza del mondo del commercio devono avere.
■ Esistono altre opzioni di alleanza? Possibile l'ingresso in Confindustria?
Direi di no. La nostra scelta è quella della rappresentanza autonoma e non abbiamo opzioni diverse. Come abbiamo detto e scritto le nostre aziende esprimono valori forti che vogliamo portare direttamente all'attenzione delle istituzioni, dei media e degli opinion leader. Questo senza alcuna arroganza, ma con ferma determinazione.
■ Infine, negli ultimi mesi si è evidenziato quanto poco la distribuzione commerciale sia conosciuta dal mondo politico, qual è, secondo lei, il percepito oggi e come dovrebbe cambiare?
È vero, il mondo del commercio difficilmente riesce a incidere sulle istituzioni in proporzione al peso reale che ha nel tessuto economico. E questo vale anche per la distribuzione moderna, portatrice di fattori positivi per la società che non sempre vengono riconosciuti. Penso non solo alla sua azione in favore della tutela del potere d'acquisto delle famiglie, ma anche agli investimenti che continua a fare, all'impulso che fornisce alle economie locali, al contributo occupazionale, soprattutto per donne e giovani, al sostegno alla PMI direttamente con lo spazio dedicato ai prodotti locali o attraverso la marca del distributore. Tutti fattori che devono meglio essere valorizzati, a vantaggio non solo delle stesse imprese distributive, ma di tutta la collettività. E questa azione di "promozione e comunicazione" della distribuzione moderna organizzata sarà uno dei principali obiettivi della nostra nuova e autonoma rappresentanza.