Da club a brand: l’evoluzione del concetto di sport

Inizialmente performance sportive, ora desiderabilità e senso di appartenenza. Per una cultura popolare globale che diventa brand identity

(*) head of strategy FutureBrand

Un amico raccontava come da bambino avesse chiesto alla madre una maglietta dei Chicago Bulls e di come lei avesse interpretato questo desiderio come un’inedita passione di suo figlio per il basket, mentre in realtà il bisogno alla base era molto più semplice: si trattava di una richiesta lifestyle, una domanda di coolness, anche se probabilmente all’epoca non si sarebbe chiamata così. Il passaggio da performance sportive a desiderabilità è un’evoluzione che viene dagli Usa, dove l’approccio al marketing è parte stesso del concetto di sport. Per verificarlo, basta entrare in un negozio di merchandising di una squadra professionista americana, attorniarsi di qualunque tipo di accessorio immaginabile con il logo del team sopra, la nostra esperienza raggiungerà il suo apice. Non si tratta dell’apposizione di un logo su magliette e cappellini, dietro c’è molto di più: è il superamento di un modello, la creazione di un desiderio, di un immaginario, che non si limita al tifo o alla performance, ma è più ampio ed ecumenico per diventare parte della cultura popolare globale. Questo processo include molti fattori, un’evoluzione o involuzione a seconda della prospettiva, del concetto di eleganza che, ormai, tende a superare i formalismi, in una costante ibridazione, nella quale i capi sportivi simbolo sono reinterpretati in chiave esclusiva. Non è più richiesta l’adozione di convenzioni stilistiche, che anzi diventano recessive, non più desiderabili perché lontane da quegli immaginari di contemporaneità e smartness imperanti. La cravatta, per esempio, che per anni è stata l’accessorio obbligatorio per accedere agli ambienti più esclusivi, registra negli ultimi anni un drammatico calo di vendite (nell’anno solare 2020 il sell-out di cravatte ha censito un tracollo del -50% fonte: Sistema Moda Italia per Pitti uomo 100).

Questione di stile

In questo nuovo contesto, lo sportswear non è più limitato allo sport presente nel nome, ma diventa casual wear e conseguentemente stile. Infatti, da anni, i brand sportivi sono il riferimento per la quotidianità e non solo quella dei giovanissimi; parallelamente i brand moda hanno lanciato linee sportive per intercettare questa trasformazione stilistica, ma anche culturale e sociale. I marchi sportivi più famosi continuano ad avvalersi di una reason why tecnica, che con l’aumento della tecnologia tende a estremizzarsi, ma il grosso dell’offerta rimane mass: comfort e tendenza sono le parole d’ordine. Nike, Adidas, Puma, per citarne solo alcuni, si trovano così a dover ibridizzare i loro immaginari di riferimento che da tecnici si spostano sempre di più verso lo stile, lasciando spazio a prodotti e marchi di nicchia, come Under Armour o On Running. Le squadre di calcio locali, invece, possono rappresentare anche a livello internazionale una proposta inedita, più specifica e quindi esclusiva, potenzialmente ricca di storia e di passione. Ma per iniziare questo percorso devono concepirsi in modo radicalmente diverso. Devono passare dall’essere proprietà di pochi facinorosi a comunità di simpatizzanti, che non si identificano nella mera esperienza del tifo, bensì in quella più ampia del territorio, della sua storia. Di fatto, un nuovo paradigma nel quale le città d’arte italiane possono esprimere un grande potenziale. Il target passa da quello della curva a quello ben più ampio e non geograficamente delimitato dei simpatizzanti, gli amanti del calcio, per i quali non è necessario essere la prima squadra (ma neanche la seconda o la terza) di un campionato bellissimo e un po’ esotico che si gioca in affascinanti città, ricche di storia e di cultura. Un Paese che venera questo sport quasi come una religione è un tipo di attrattività che stimola la scoperta, il fascino della nicchia. Sul finire degli anni 90, nell’Nba entrarono dei nuovi team come i Charlotte Hornets e i Toronto Raptors; queste squadre, attraverso l’adozione di simboli e mascotte estremamente accattivanti, supportate anche dall’innovazione tecnica del periodo che permetteva di essere stampate direttamente sulle magliette da gioco, registrarono un successo inaspettato nelle vendite del merchandising, instaurando un circolo virtuoso nel quale le persone simpatizzavano per le loro identità perché desideravano indossarne un pezzo.
È il caso della Roma, della Fiorentina e del Venezia, tutte squadre che stanno evolvendo i loro segni e le loro narrazioni. Gli scudetti di natura araldica si semplificano per diventare veri e propri loghi, le identità visive si arricchiscono aggiungendo stilemi che si sommano ai colori identitari del team, che per molto tempo sono stati gli unici elementi connotanti. Identità visive ricche e dinamiche permettono di incrementare e rendere accattivanti tutte le espressioni della marca.

Mettere a sistema la storia

Anche la storia, con le sue relative evoluzioni visive, può essere messa a sistema: l’aggiornamento di un logo, in questo contesto, non implica necessariamente l’elisione di quelli precedenti che magari sono legati a determinati periodi e successi sportivi della squadra. Su determinati materiali, le identità storiche possono convivere con quelle più contemporanee, generando una ricchezza e una dinamicità che aiuta a rendere l’offerta del brand sempre diversa ma coerente con sé stessa. La collaborazione con gli sponsor tecnici, che vanno concepiti come delle vere e proprie partnership creative, permette di far diventare le terze maglie e le casacche celebrative delle serie speciali alla stregua di edizioni limitate. Oggi, una squadra sportiva di calcio, e non solo, può rappresentare una grande opportunità di stile, ma deve emanciparsi da un certo tipo di approccio e di visione che sovrappone l’appartenenza allo scontro. Utilizzare il marchio in modo diverso è anche l’espediente per evolvere la fruizione di quello che in Italia è molto più di uno sport, e renderlo patrimonio del Paese tutto.

Negli anni 90 le squadre dell’Nba come i Charlotte Hornets e i Toronto Raptors adottarono simboli e mascotte che diventarono delle icone. Si creò un circolo virtuoso: le persone desideravano indossare i capi con gli emblemi delle squadre, identificandosi e portando le vendite del merchandising a un successo inaspettato

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