D.lgs 198/91: continua il dibattito. La risposta di THMR

Dopo la pubblicazione della risposta di Centromarca sui temi che caratterizzano il D.lgs 198/91, la replica degli avvocati dello Studio THMR

Continua il dibattito sul decreto legislativo 198/91. Riceviamo e pubblichiamo la replica degli avvocati Stefano Taurini e Daniela Zorzit, rispettivamente managing partner e associata dello Studio THMR di Milano e Roma, rispetto alle valutazioni che Centromarca ha espresso su alcuni aspetti del decreto legislativo. Il D.lgs 198/91 è stato oggetto del convegno “Rapporti tra imprese del settore agroalimentare: quali limiti all’autonomia contrattuale dal decreto 198/21?”, tenutosi a Roma lo scorso maggio.

Alcune precisazioni by THMR

Il motivo che suggerisce queste righe nasce, anzitutto, dalla necessità, avvertita come una urgenza, di restituire alle cose il loro vero nome, onde evitare qualunque tentativo di strumentalizzazione: le interpretazioni del D.lgs 198 esposte da chi scrive nel corso del Convegno di Roma dello scorso 8 Maggio non provengono da “autorevoli esponenti del mondo della distribuzione” e non conoscono, a differenza delle considerazioni della “risposta di Centromarca”, l’influenza di alcuna “spinta” o contaminazione. Si tratta, piuttosto, del risultato di un lavoro, serio ed onesto, di indagine e approfondimento, che abbiamo pubblicato* come studiosi della materia  portata di una norma purtroppo poco chiara. Il tutto attraverso un esame obiettivo ed incondizionato.

  • Ndr: il riferimento è al volume “Le pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare. Presupposti della tutela e questioni chiave nell’interpretazione del decreto 198/21” scritto dagli avvocati Stefano Taurini e Daniela Zorzit e pubblicato da Giuffrè Francis Lefebvre)

Ciò precisato, cercheremo qui di spiegare perché l’opinione espressa da Centromarca ci trova in disaccordo. Condenseremo le nostre osservazioni intorno a due punti, che, a nostro modo di vedere, costituiscono il cuore del dibattito.

La Direttiva

Si legge nell’articolo pubblicato lo scorso 11 Giugno che la Direttiva 633, raccogliendo gli esiti di “un processo ultradecennale di studi e approfondimenti da parte della Commissione UE”, avrebbe come finalità la “prevenzione di condotte dall’oggettivo disvalore”: lo scopo preso di mira dalle Istituzioni europee sarebbe, dunque, stato quello di contrastare pratiche che sono scorrette di per sé, a prescindere dalla posizione delle parti. Tale approccio “di tutela delle filiera complessivamente intesa” risulterebbe “chiarissimo sin dai Considerando” (e sarebbe stato integralmente recepito dal D.lgs 198/2022).

Questa posizione non é, a nostro avviso, condivisibile.

Non possiamo fare a meno di notare, in un gioco di rimandi, come le considerazioni svolte in merito ai contenuti del Convegno siano rimaste impigliate entro i lacci di una certa contraddizione: se l’interpretazione da noi proposta era “alquanto riduttiva”, quella suggerita da Centromarca risulta “oltremodo creativa”, perché finisce con l’attribuire al dato testuale un significato addirittura opposto a quello espresso dalle parole. E già per questo ci sarebbe da chiedersi se la parzialità di cui siamo stati tacciati non trovi forse più consona e conveniente dimora nelle righe di chi ha mosso l’accusa.

I Considerando indicano chiaramente che l’intervento del legislatore europeo trova giustificazione nella esistenza di “squilibri nel potere contrattuale” che “comportino pratiche commerciali sleali nel momento in cui partner commerciali più grandi cerchino di imporre determinate pratiche o accordi contrattuali a proprio vantaggio relativamente ad una operazione di vendita” (Considerando n. 1); il Considerando n. 14 scandisce e declina in modo inequivocabile i margini di operatività della disciplina: “La presente direttiva dovrebbe applicarsi al comportamento commerciale degli operatori più grandi rispetto agli operatori con un minor potere contrattuale”.

Del tutto coerente con questo impianto di fondo è il sistema degli “scaglioni” che, al di là dei suoi limiti, costituisce pur sempre uno sbarramento: la Direttiva si applica solo se il fornitore è più debole della controparte (ossia ha un fatturato minore, essendo questo l’indice, seppur approssimativo, utilizzato dall’art. 1 per misurarne la forza). E lo stesso Considerando n. 9 ha cura di sottolineare che “Un approccio dinamico, basato sulle dimensioni relative del fornitore e dell’acquirente in termini di fatturato, dovrebbe fornire agli operatori che ne hanno maggiormente bisogno una maggiore tutela contro le pratiche commerciali sleali”.

Che il legislatore europeo abbia inteso garantire la “tutela della filiera complessivamente intesa” è, dunque, affermazione non rispondente al vero.

Il Decreto legislativo 198
Centromarca sostiene che il D.lgs 198 si applicherebbe a prescindere dal “significativo squilibrio” delle posizioni tra le parti: l’inciso “indipendentemente dal fatturato dei fornitori” starebbe appunto a significare che la disciplina vale “per tutti” gli operatori, senza alcun distinguo. A sostegno di tale lettura si afferma che l’art. 9 della Direttiva lascerebbe piena libertà agli Stati membri. La tesi incontra una obiezione di fondo.

La Direttiva accorda al fornitore, considerato come soggetto più vulnerabile, una “protezione minima”, che è intangibile (le norme “sanzionano” comportamenti scorretti dell’acquirente, che nella cornice applicativa disegnata dall’art. 1, è più forte in quanto dotato di un fatturato maggiore). È vero che l’art. 9 consente di allargare le maglie della disciplina, ma ciò nel rispetto del nucleo inderogabile di partenza: gli Stati membri possono solo aumentare (e mai diminuire) la tutela che la legge ha inteso riservare alla “parte debole, che ne ha più bisogno”.

Sostenere che il D.lgs 198 ha come oggetto tutti i rapporti significa avallare una soluzione che urta contro tale principio: per tornare al più volte richiamato esempio della fornitura di impianto con termine di pagamento a 90 giorni, ad applicare l’art. 4 si arriverebbe all’assurdo di proteggere il forte (il grossista) contro il debole (il piccolo negoziante, che verrebbe addirittura sanzionato!).

Ciò in aperto contrasto con la ratio che sorregge l’intera disciplina europea, per come icasticamente espressa nel Considerando n. 14, ove si precisa che il limite massimo di 350 milioni di euro fissato dall’art. 1 serve a “impedire che la tutela sia accordata a operatori che non sono vulnerabili o lo sono considerevolmente meno rispetto alle controparti o ai concorrenti più piccoli”.

A ciò si aggiunga che, in base alle regole generali, le norme nazionali attuative di una Direttiva devono essere interpretate e applicate alla luce del testo e dello scopo della stessa, in modo tale da conformarsi al risultato da essa prescritto. È allora evidente che la lettura data da Centromarca finisce per stravolgerne lo spirito (ribaltandone la prospettiva).

Essa, inoltre, trascura del tutto di considerare quello che, a nostro parere, è l’elemento cardine intorno al quale ruota il D.lgs 198, cioè l’imposizione unilaterale: l’art. 1 afferma che determinate pratiche commerciali vengono vietate perché contrarie ai principi di buona fede e correttezza e, soprattutto, in quanto “imposte unilateralmente da un contraente alla sua controparte”. Tale formulazione ricalca quella dell’art. 1 comma 1 della Direttiva (guarda caso intitolato “Oggetto e ambito di applicazione”); la norma europea prima stabilisce che il presupposto della disciplina è la disparità di potere tra le parti (comma 1) e poi (comma 2) va a definire il criterio (fatturato) per individuare le situazioni di squilibrio in cui, appunto, vi è un soggetto che è in grado di abusare della propria forza. Il D.lgs 198 ha fatto a meno del sistema degli scaglioni (di per sé poco affidabile), ma ha conservato l’imposizione, rimettendone l’accertamento all’interprete in ragione delle circostanze del caso concreto.

In questo senso, deve essere apprezzata la chiara introduzione della “Relazione sulle attività di contrasto alle pratiche sleali 2023”, in cui ICQRF ricorda che la disciplina dettata dal D.lgs 198 vale a “contrastare lo squilibrio nel potere contrattuale, nel momento in cui imprese commerciali con maggiore potere di mercato cerchino di imporre accordi contrattuali a proprio esclusivo vantaggio, discostandosi dalla buona condotta commerciale, in violazione dei principi di buona fede e correttezza”.

Non può, infine, condividersi l’osservazione di Centromarca che, preso atto della circostanza che il D.lgs 198 ha cancellato tutti i commi dell’art. 10 quater del D.l. 27/2019, tranne quello che espressamente richiede il “significativo squilibrio”, ha concluso che detto “riferimento si può ritenere anch’esso implicitamente abrogato”. Tesi, questa, a dire il vero piuttosto sbrigativa, che altro non fa se non negare (immotivatamente) l’esistenza di un dato obiettivo. Ma tale presa di posizione era forse obbligata, perché ammettere l’evidenza voleva dire dare seguito all’antico brocardo secondo cui “dove il legislatore non ha fatto è perché ha voluto così”.

 

 

 

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