Coop, la prima insegna della grande distribuzione in Italia e al tempo stesso una rete di imprese associate in rappresentanza di circa 6,8 milioni di soci, guarda criticamente al testo della "Direttiva europea sulle pratiche sleali" uscito dalla Commissione agricoltura del Parlamento Europeo e solo parzialmente corretto dal Consiglio Europeo. Una normativa -sostiene Coop- nata con un fine giusto, ma che nel corso dell’iter parlamentare orientata è stata orientata a favorire le multinazionali del cibo, con il rischio di penalizzare i consumatori.
"Il testo è troppo squilibrato a favore dell’industria di largo consumo –commenta Marco Pedroni, presidente di Coop Italia– perché nella stesura finale è stato disatteso il limite dimensionale a cui applicare le tutele. Nella fase iniziale si stabiliva un distinguo individuando nelle imprese piccole e medie della filiera agroalimentare i soggetti da tutelare. Ma il testo uscito ora è ben poco simmetrico e amplia moltissimo la definizione di soggetto da tutelare includendo le imprese industriali fino a 350 milioni di euro di fatturato. Né vi sono sufficienti elementi di reciprocità che compensino lo squilibrio che si viene a creare nella contrattazione".
"Si tratta ancora una volta di una norma –continua Pedroni– che intende rappresentare la distribuzione come il soggetto 'cattivo' della filiera e questo è sbagliato. E poi c’è distribuzione e distribuzione e si fa un danno anche nei confronti dei consumatori a non operare i necessari distinguo. Coop impatta positivamente come nessun altro operatore commerciale sull’agricoltura italiana; abbiamo rapporti stabili e duraturi con migliaia di piccole e medie imprese fornitrici, l’85% dell’ortofrutta presente in Coop è italiana, e italiane sono le carni, addirittura al 90%".