Concentrazioni e concertazioni, la sfida del retail alimentare e di Gruppo VéGé

Incontriamo Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di Gruppo VéGé. Fatti e visioni per un autunno molto “caldo” per consumi e retail

Fedelissimo all’azienda in cui è cresciuto, Giorgio Santambrogio da anni è il volto e l’anima di VéGé. Nel tempo ci ha ricordato che “il piacere di fare la spesa” nasceva da Sidis, (la nonna di VéGé, poi diventata Interdis), ha raccontato a tutti, in anni non sospetti, che il Crm era cosa da farsi; ha l’anima dell’intrattenitore e, dagli spalti dei convegni o dalla sua postazione via LinkedIn o Twitter, non manca di prendere posizioni, raccontare i fatti della vita e ammonire, sempre con molto garbo, scelte e posizioni che non sono in linea con il suo pensiero. È vicepresidente di Federdistribuzione, un ruolo che gli sta benissimo, istrionico e con la battuta pronta, fa parte del cerchio magico (tutto al maschile) della distribuzione food, ruolo che si è conquistato grazie al suo talento nelle relazioni e una preparazione fuori dal comune.

In cosa consiste il lavoro di Ad di un gruppo come VéGé?
Avere molte responsabilità, molta saggezza e intelligenza nel comprendere le differenze che esistono tra le nostre diverse imprese, con l’obiettivo di recuperare efficienza. Infatti, la crescita non può essere l’unico obiettivo, perché se la capacità di introiettare fatturati e ricavi non è speculare alla capacità di ridurre i costi derivanti da questi, da questa crescita non si ottiene nulla, quindi, preconizzo, all’interno del nostro gruppo, che ci sia la visione da parte delle imprese piccole di potersi mettere insieme e creare sinergie simili a quelle sviluppate da Multicedi e Gruppo Arena, che permette di avere sostanzialmente minori costi di gestione e nel frattempo di usufruire delle economie di scala che, come tutti ci insegnano nel nostro settore, sono quelle che comandano. Significa che VéGé fra cinque anni avrà dieci imprese? No, perché i processi comunque sono lenti, perché la cultura imprenditoriale non di VéGé, non della distribuzione, non dell’industria italiana ma un po’ dappertutto, fa sì che spesso vi siano gli imprenditori che preferiscono essere la testa di un’acciuga e non la pinna di uno squalo. Certo, la testa di un’acciuga permette di vedere, di comandare e di decidere ma in questo periodo le acciughe non hanno vita facile mentre mettere insieme tre, quattro imprenditori, ognuno con le proprie competenze e poter così gestire gruppi con un fatturato da trecento milioni per arrivare a un miliardo questo potrebbe essere l’auspicio. Perché è difficile? Perché è lento? Perché, innanzitutto, le nostre imprese sono in tutto il territorio nazionale, con culture, contesti competitivi, storie diversi e format diversi con strategie diverse. Tornando a VéGé: il nostro compito è dare il massimo comun divisore che possa essere utile per i soci, quindi, noi forniamo progetti che sono a disposizione, perché in VéGé, da quando ci sono io, quindi, si parla di oltre 24 anni, la parola “obbligatorio” è tabù perché il bello di VéGé è di lasciare ai propri imprenditori libertà imprenditoriale, di posizionamento e anche di territorio. Certo, alcuni progetti da delibera di consiglio sono considerati “auspicabili” è importante ricordare che l’acronimo VéGé arriva dall’olandese VErkoop GEmeenschap che significa “vendere insieme”: sostanzialmente l’antitesi di quelli che si uniscono solo per comprare insieme. Noi quindi ci occupiamo dei contratti, della gestione dei listini, degli accordi con l’industria, del piano promozionale piuttosto che di alcuni progetti che noi chiamiamo “attività nazionali”, che rientrano nel DNA di VéGé come l’attività di sostegno alle comunità, come quelle a favore dei plessi scolastici, delle associazioni sportive dilettantistiche, questi vengono chiamati “progetti base” che sono per tutti e, fra virgolette, devono fare tutti. Noi abbiamo una pletora di altri servizi, fra cui annoveriamo anche la marca del distributore in cui però non c’è alcuna obbligatorietà. Infine, la formazione della Academy fisica o digitale che vede un tasso di adesione del 90% delle imprese anche di territorio.

La libertà di VéGé non la rende poco distintiva nel panorama nazionale?
Forse ma lo sviluppo che abbiamo avuto negli ultimi dieci anni ha fatto sì che da una quota di mercato che ci proiettava circa un miliardo e ottocento milioni di fatturato quest’anno stimiamo di finire con oltre 12,6 miliardi, perché abbiamo la capacità, senza millantare chissà quali caratteristiche, di soddisfare l’imprenditore e la sua voglia di autonomia e contestualmente dare un valore aggiunto derivante dalle economie di scala di progetti che possiamo offrire come sede. Non è facile, sarebbe molto più semplice dire c’è un’unica insegna, un unico format un’unica marca distributore, i progetti sono obbligatori ma non è la nostra cifra stilistica.

Parlando di imprenditori, qual è la vostra esperienza nei passaggi generazionali?
Noi siamo una realtà relativamente giovane in termini anagrafici: abbiamo un presidente, Giovanni Arena, che non ha neanche 45 anni, così come il vicepresidente Raffaele Piccolo, Attilio Gambardella sui 42 anni, poi Andrea Tosano che non raggiunge i 55 anni, Nicola Mastromartino, past president e Francesco Barbon che non superano i 60, quindi, tranne due o tre eccezioni come l’amico vicepresidente Giuseppe Maiello o anche Giovanni Muscas in Sardegna che, con i suoi 75 anni, è ancora in sella, il mainstream di tutte le imprese di VéGé è tra i 40 e i sessant’anni. Rimane il fatto che il passaggio generazionali sia una delle problematiche maggiori che abbiamo nella distribuzione: più è grande, più è geniale, più è incredibilmente forte l’imprenditore che ha creato l’azienda, più potrebbe portare a delle problematiche alle generazioni successive. Ora non più, ma le dinamiche aziendali che ho avuto modo di osservare in passato -ci chiamavamo ancora Interdis- erano molto complicate: nella stessa azienda c’era il giovane che aveva delle idee e che doveva riferirsi al padre, che probabilmente ne aveva altre ma in realtà c’era ancora il nonno, che alla fine comandava su tutto e tutti, quindi, la difficoltà anche di relazionarsi con queste imprese era evidente. In VéGé per fortuna non abbiamo la sindrome di “Riccioli d’oro e i tre orsi”.

Un ultima domanda sul mercato...
La mia sensazione è che i prezzi diminuiscano non tanto perché gli amici dell’industria abbasseranno i listini ma probabilmente perché cominceranno ad aumentare la profondità delle promo e questo accadrà già nell’autunno e potrebbe anche avere una buona enfasi nel 2024. Vedo ancora una crescita dei discount, sebbene ormai sia improprio chiamarli discount: da un punto di vista estetico sono molto simili ai supermercati, però, io preconizzo che, sebbene abbiano aumentato maggiormente i prezzi e abbiano avuto una contrazione dei volumi in questi mesi, ricomincino a crescere già dall’autunno e lo facciano anche nel 2024, fino, forse, a superare la quota di 26-27 punti percentuali complessivamente. Passando all’eCommerce, che sì, non si è schiantato ma, per come è stato strutturato, secondo me sarà flat ancora in autunno e probabilmente anche l’anno prossimo. Vedo ancora, con sorpresa, una crescita dei drugstore e dei petstore. Più in generale, credo che assisteremo a una maggiore concentrazione, già alla fine di quest’anno ma soprattutto l’anno prossimo; una concentrazione in parte volontario e in parte no. Il combinato disposto di tutte queste cose, mi permette di dire che ancora di più bisogna essere i più bravi per poter competere e bravi nelle strategie, nell’essere essenziali nella costruzione della scala prezzi e non necessariamente nella riduzione. Infine, un mercato non drogato con un’inflazione inferiore, darà il via a molte operazioni per cui ci aspetta un bell’autunno... ci divertiremo molto.

In acquisto dobbiamo essere i più forti, i più grandi possibili dimensionalmente per poter offrire la singola esperienza al singolo cliente del singolo punto di vendita

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome