Come è vissuto dagli italiani il rapporto intergenerazionale?

Foto di Mohamed Hassan da Pixabay
Meglio di quanto si narri spesso su media e social, secondo i risultati della ricerca “Generazioni a confronto” di AstraRicerche per McDonald’s

Di differenze tra generazioni oggi si parla molto e lo si fa spesso oscillando da un estremo all'altro, attingendo al noto bias della percezione basata sul proprio storico e sul proprio circondario, piuttosto che ai dati. A indagare proprio l'aspetto del rapporto inter-generazionale nel nostro Paese prova la ricerca “Generazioni a confronto”, condotta da AstraRicerche e commissionata da McDonald’s.
Lungi dal poter restituire un quadro esaustivo di un sentiment così articolato, è comunque interessante notare che quello che emerge dallo studio, condotto su un campione rappresentativo di italiani tra 18 e 59 anni, è un approccio generalmente positivo, più di quello che spesso la narrazione mediatica e social raccontano.

Secondo i dati, innanzitutto, il 79,1% degli intervistati riconosce "l’etichetta" della propria generazione e il 60,3% si sente parte di essa. Dietro un’apparente distanza, emerge, la voglia di trascorrere del tempo insieme. Dominano, infatti, gli effetti positivi degli “incontri intergenerazionali”: i più grandi riconoscono l’opportunità di trasmettere conoscenze (per il 32,9%), lo stimolare la propria mente al confronto (per il 32,1%), l’entrare in contatto con gusti diversi (per il 29,5%), l’allegria che il confronto genera (per il 28,1%). Circa tre intervistati su quattro, pensano che passare del tempo con la generazione più giovane significhi imparare qualcosa di nuovo. Da qui il desiderio di voler passare ancor più tempo in loro compagnia (per il 71,1%). Prevalgono gli effetti positivi anche per i più giovani: la relazione con chi ha un’età maggiore li rende più maturi (per il 37,5%), trasmette loro conoscenze (per il 37,2%) e li fa sentire a proprio agio (per il 33,2%). Pochi sono, invece, gli effetti negativi emersi: il fatto di capire che si è troppo diversi, quindi, che non sia facile comunicare (lo afferma il 17,1% della popolazione “più grande” e il 18,5% di quella “più giovane”) e l’irritazione per il diverso modo di approcciare la vita e le difficoltà (rispettivamente l’11,2% e il 10,9%). Quest'ultimo è uno dei temi di confronto più esacerbato online, uno stile comunicativo che risulta divisivo e fa apparire la divisione generazionale preponderante. I dati, però, ancora una volta ci dicono che non è così, delineando uno scenario migliore di quello che i social e una certa narrazione raccontano (potrebbe c'entrare anche il fatto che, sempre per struttura cerebrale, tendiamo a ricordare di più le cose negative).
Il linguaggio è un altro tema chiave: il 60,2% degli over 28 ritiene che lo slang giovanile si sia impoverito, pur manifestando curiosità verso termini come “goat”, “blastare” e “skippare”, con il 39,5% che cerca di memorizzare nuove parole e il 25,8% che le utilizza. “Bro”, “lol” e “skippare” sono i termini più noti (oltre il 90%), mentre “blastare” e “goat” restano meno familiari (circa il 60%).
Nota di continuità tra tutti gli italiani, a prescindere dall'età: la convivialità legata al mangiare insieme, che si rivela l’elemento di maggiore coesione tra generazioni. Il 51,7% degli intervistati ritiene che il tempo trascorso a tavola migliori le relazioni con i più giovani, mentre il 54,7% lo pensa rispetto agli over 28. Per il 65,8% del campione, il semplice gesto di mangiare insieme fuori casa crea un ponte tra le diverse generazioni.

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