La crisi non rallenta la crescita del mercato dei prodotti da agricoltura biologica, che anzi dal 2008 a oggi, in controtendenza rispetto al resto del largo consumo, ha continuato progressivamente a crescere anno su anno in tutti i canali di vendita. Nel 2014, il settore - che vanta una base di oltre 50 mila imprese tra aziende agricole, trasformatori/distributori e importatori, per 50 mila addetti- ha espresso un fatturato complessivo di quasi 4 miliardi di euro, dei quali oltre 2,5 relativi al mercato interno (in crescita del 12% sul 2013) e 1,3 miliardi realizzati grazie all’export (+7%). Un trend positivo che caratterizzerà anche il 2015, stando ai dati relativi all’andamento delle vendite nel primo quadrimestre, che in gdo (iper+super) hanno registrato un incremento del 16% sul periodo equivalente 2013 (dati Nielsen e Assobio). Un risultato che testimonia della capacità delle aziende di produzione/trasformazione di migliorare via via la propria offerta in termini sia quantitativi sia qualitativi, della distribuzione (specializzata e non) di ampliare e valorizzare l’assortimento, ma soprattutto dell’aumentato interesse da parte dei consumatori nei confronti di una proposta di consumo alimentare capace di intercettare bisogni crescenti in termini soprattutto di salute e benessere, ma anche portatrice di valori socioculturali sensibili (km0, eco friendly, no cruelty ecc). Insomma, le motivazioni d’acquisto sono molteplici, ma spesso sovrapponibili, e i prodotti che ne sanno intercettare più d’una sono decisamente favoriti.
Fidelizzazione Secondo la ricerca “L’alimentare e il biologico in Italia - I trend più recenti”, condotta da Nielsen per Assobio/Federalimentare e presentata in Expo lo scorso giugno, almeno per quanto riguarda la gdo il principale driver della crescita del mercato sarebbe l’aumento della frequenza di acquisto, con la conseguente crescita del numero dei clienti abituali (un atto d’acquisto a settimana) e saltuari (uno al mese), e la diminuzione di quelli occasionali (uno ogni tre mesi). Il gap esistente tra i consumi espressi dal primo gruppo e gli altri due è notevole: basti pensare che i clienti abituali, che rappresentano il 18% del totale famiglie acquirenti bio, spiegano il 70% delle vendite a valore, contro il 17% imputabile ai saltuari (che rappresentano il 17% del panel) e il 13% svolto dagli occasionali, che pure rappresentano una quota del 65% sul totale.
I consumatori più attivi, prevalentemente donne, sono di fascia di età tra i 25 e i 44 anni e fra i 55 e i 64 anni, con un livello di istruzione superiore (49% laureati o diplomati).
Aree geografiche Per quanto riguarda il trend delle vendite per area geografica, nella gdo despecializzata nel suo complesso si evidenzia una crescita del 30% al Sud. Positivi anche se più contenuti gli incrementi raggiunti nelle altre aree geografiche: +16% al Centro, +15% al Nord Est e +13% al Nord Ovest (dati Nielsen iper+super+libero servizio+discount).
Multicanalità Il canale d’acquisto d’elezione per il consumatore bio rimane quello degli specializzati (super + negozi bio) che con un fatturato di 950 milioni veicola quasi il 38% del totale mercato, il cui valore è stato stimato da Nielsen in 2,5 miliardi di euro. Segue a stretta distanza il canale distributivo “convenzionale” (gdo+discount+altri libero servizio) con una quota prossima al 34%, quindi i canali cosiddetti “alternativi” (vendite dirette, on-line, farmer’s market, Gas- Gruppi di acquisto ecc) con una quota del 16% , mentre il rimanente 12% è dato dal food service. Fatto 100 il totale despecializzato, il canale che esprime la maggior quota a valore è quello dei supermercati (46%) seguito da ipermercati (37,4%), altri service (10%), discount (4%) e piccoli negozi alimentari (2,6%). Mentre sul totale specializzato le quote sono così ripartite: negozi 57,3%, food service 19,2% e altri canali 24,5%.
Iper e super sotto la lente Nel 2014, le vendite dei prodotti biologici in gdo (dati Nielsen iper+super) hanno superato i 736 milioni di euro di incassi, evidenziando un trend di crescita a valore a doppia cifra sull’anno precedente (+12%), in significativa controtendenza sul totale mercato confezionato domestico. A valore, la classifica dei primi cinque top vender vede al primo posto le Uova seguite da Confetture e spalmabili base frutta, Panetti croccanti (sostitutivi del pane), Bevande piatte a base di soia/riso/mandorla e Pasta di semola integrale/farro/kamut. È significativo notare come quest’ultima registri un incasso ben 8 volte superiore rispetto a quello della Pasta di semola bio, a riprova di quanto il plus benessere/salutismo sia preponderante nelle scelte di acquisto dei bioconsumatori.
Le prime 15 categorie in ranking che complessivamente rappresentano il 47% del totale fatturato bio, evidenziano trend di crescita positivi (in alcuni casi anche a doppia cifra), a conferma del fatto che anche per quanto riguarda le famiglie merceologiche più altovendenti c’è ancora spazio di crescita in gdo per l’offerta bio. Se il segno più contraddistingue la stragrande maggioranza dell’offerta, con exploit addirittura a tripla cifra per le nicchie cosiddette emergenti (es spumante, vari tipi di bevande analcoliche base the o base frutta, piatti pronti ecc), per contro quello negativo riguarda significatamente pochi segmenti, in parte connotati da uno spiccato vissuto industriale (vedi gli yogurt funzionali, gli snack salati estrusi o ancora i dolcificanti), forse poco coerenti con lo stile di vita seguito dai bioconsumatori, in parte penalizzati da un differenziale di prezzo significativamente più elevato rispetto all’offerta tradizionale , per non parlare della sempre più gettonata opzione della preparazione domestica (pane, frutta IV gamma, sottaceti ecc).
Private label Complessivamente, le private label rappresentano poco meno del 45% del valore espresso dal bio nel canale iper+super, con un trend di crescita di poco inferiore a quello del mercato bio nel suo complesso. Da segnalare la spinta alle vendite garantita dall’introduzione, nelle linee a marchio dell’insegna, di numerose nuove categorie di prodotto (piatti pronti vegani, prodotti gluten free, latti vegetali ecc) capaci di attrarre nuove tipologie di consumatori con esigenze dietetiche specifiche. Tra le categorie più “griffate” dalla gdo, oltre all’ortofrutta fresca confezionata dall’insegna, compaiono i piatti pronti surgelati, tutta la gamma dei prodotti per la prima infanzia, succhi e nettari, ortofrutta di IV e V gamma, pollame di III e IV gamma, latticini (burro, crescenza e grana in primis), pizzeria, uova e coloniali (the, zucchero e caffè in grani).
Vegmania e dintorni
Oggi l’attenzione delle principali insegne distributive è puntata più che mai sui piatti pronti per vegetariani/vegani a base di soia, tofu e seitan (burger, panati ecc). Ai quali molti consumatori sono interessati, ma pochi sanno preparare da sé. In particolare la gd sarebbe a caccia di copacker per la produzione di linee a marchio dell’insegna: in questo modo il prodotto riunirebbe ben quattro plus: la certificazione bio (quindi ogm free), il servizio del pronto a cuocere/cotto, il contenuto dietetico/salutista e la garanzia di qualità offerta dall’insegna, decisamente apprezzato dai clienti bio della gdo, abituati a orientare le scelte d’acquisto anche in base alla notorietà della marca. Un’altra tendenza in crescita è quella dei prodotti “free from”: in particolare i prodotti gluten-free, per celiaci ma non solo, ma anche senza additivi, aromatizzanti, coloranti, addensanti ecc. Da segnalare l’attenzione da parte dei retailer nella riformulazione di numerosi prodotti contenenti grassi vegetali tropicali (vedi il famigerato olio di palma) con altri tipi di grassi (preferibilmente girasole). Per finire, l’ultima frontiera è quella del raw, che vede come protagonisti prodotti crudi e poco processati, stile paleo dieta americana. Per pochi (coraggiosi), ma assolutamente trendy.