Le filiere agroalimentari hanno un ruolo decisivo nel cambiamento verso la sostenibilità, sia a livello ambientale che sociale. “L’impronta di carbonio è la pietra miliare tra gli indicatori di sostenibilità -afferma Nicola Rondoni, head of section and director of the sustainable food systems Dnv-. Ora però è diventato fondamentale e non rinviabile considerare in maniera approfondita anche la dimensione sociale, la governance, e ci si sta muovendo quindi verso una prospettiva olistica, che considera tutti gli aspetti della sostenibilità”. Il settore del food è responsabile di un terzo delle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera, considerando che il 50% della terra è utilizzato per produzioni agricole e che in questo settore è concentrato il 70% del lavoro minorile.
Il tema è stato affrontato da DNV e Innovation Norway in un recente evento con speaker del mondo istituzionale e imprenditoriale.
In Bolton Food il processo aziendale in ambito sostenibile segue quattro principi: essere trasformativi, avere un approccio scientifico e tecnologico, e al contempo olistico e integrato dal punto di vista sociale. Luciano Pirovano, global sustainable development director di Bolton Food, racconta “Il nostro motto è ‘partnership is our leadership’. Crediamo molto nel concetto di unire le forze con ONG, università, istituti di ricerca, startup, dai quali in primis imparare il know-how, per poi condividere obiettivi in modo trasparente”. A questo scopo Bolton Food ha tracciato una Roadmap che prevede di arrivare alla pesca sostenibile al 100% entro il 2024, (nel 2022 è all’85%).
L’altra area di intervento è l’advocacy, ovvero la relazione con Istituzioni e Governi.
“Per quanto riguarda i diritti umani e le comunità collaboriamo con Oxfam dal 2020, per capire quali sono le cause all’origine degli abusi e dello sfruttamento come stiamo facendo nella filiera dell’Ecuador, e faremo a breve in Marocco e Indonesia” .
Altra partnership di Bolton Food, incentrata sull’alimentazione sostenibile, è con Onfoods e comprende 26 eccellenze italiane. “È centrale per noi continuare a studiare la relazione tra pesce e salute, valorizzare questa risorsa, ridurre gli sprechi, e tutto questo rientra nel nostro progetto di mettere a sistema le conoscenze per essere trasformativi e sviluppare nuovi modelli”. Tra le sfide aziendali quella di avere degli stock ittici e degli ecosistemi in salute soprattutto attraverso la tecnologia, basti pensare alla selettività della pesca attraverso i satelliti e ecoscandagli. “Dal punto di vista dell’advocacy presso le istituzioni siamo all’opera nell’Oceano Indiano dove abbiamo il problema dell’eccessiva pesca di tonno pinna gialla, perché l’organismo sovranazionale non riesce a trovare un accordo sulle quote”.
Il cambiamento climatico è una sfida enorme di questa filiera, e la decarbonizzazione dello shipping, va urgentemente affrontata scientificamente e con nuove e importanti risorse.
Analoghi programmi aziendali in riferimento alla sostenibilità di filiera li troviamo nel Barilla Group che da 15 anni l’ha inclusa nella mission aziendale. Michele Zerbini, soft wheat & flours Italy & Galliate mill purchasing senior manager, narra questo percorso. “Siamo partiti nel 2011 prendendo tutti i nostri prodotti in esame per vedere quali erano le aree che avevano il maggior impatto dal punto di vista ambientale, sociale e anche economico e siamo intervenuti a tutti i livelli, revisionando le ricette per renderle più salutari e corrette, passando poi ad analizzare la produzione”. Barilla in base a questo processo ha speso più di 10 milioni di euro per ridurre le emissioni di Co2 del 30% e l’utilizzo dell’acqua del 10%. In seguito, l’azienda ha realizzato che l’impatto più incisivo nella filiera di produzione era nella produzione agricola stessa, e quindi in questo ambito si sono concentrate tutte le nuove progettualità legate alla supply chain e all’approvvigionamento.
“Abbiamo introdotto tre disciplinari sulle principali materie prime con un focus sui concetti di biodiversità e sostenibilità, che ci avrebbero portato verso quelle aree richieste dal consumatori ma che anche noi consideriamo di necessario intervento per migliorare la presenza di Barilla sul pianeta”.
Decisivi i progetti del disciplinare in produzioni come quella del grano duro, con regole stabilite assieme a partner come WWF, e università come quella di Bologna e della Tuscia. Un sistema che incide su tutta la filiera, dall’agricoltore, al mulino, allo stabilimento Barilla.
La propensione a comprare un prodotto che costa di più perché sostenibile “è pari a zero”. Questo soprattutto per le commodity, mentre può essere accettabile per le referenze top di gamma.
Un lavoro di comunicazione e formazione, secondo Barilla, va operato a monte, dove l’agricoltore si sente spesso slegato dal resto della filiera alimentare, quindi va coinvolto in progetti, come sono appunto i disciplinari. “Dobbiamo far comprendere al consumatore qual è il valore di un prodotto sostenibile e a chi produce che può migliorare anche il suo risultato, a prescindere dal fatto che venga pagato di più”.
Il CREA ha presentato, con Stefania Ruggeri, la pianificazione attiva dell’Ente di ricerca agroalimentare che ha all’attivo 900 progetti di cui più del 70% è vocato al miglioramento delle colture sostenibili.
L’approccio è tecnico scientifico, fondato su un hub che ingloba figure tecniche come chimici e ingegneri, ma anche sociologi e antropologi, per andare oltre i numeri, e riuscire comunicare a produttori e consumatori il cibo come valore. “E’ in questo la chiave del cambiamento” ha affermato la ricercatrice. Naturalmente il processo non è semplice, perché gli agricoltori, soprattutto i più piccoli, di fronte ai cambiamenti che gli vengono richiesti si trovano ad avere difficoltà economiche nell’aggiornare le loro aziende, e per questo sono spesso restii. Inoltre, talvolta non conoscono nemmeno le qualità del prodotto che producono, tanto che in un’indagine è emerso che quasi tutti identificano la sostenibilità soltanto come agricoltura biologica.
Quanto ai consumatori, secondo CREA, va fatta leva soprattutto sui giovani per un cambiamento delle abitudini alimentari incentrato su scelte che ricadono sulla salute delle persone e del pianeta.