Adcc (Associazione direttori centri commerciali) è nata, circa due anni fa, con l'obiettivo precipuo di valorizzare e far crescere, laddove possibile, la figura del direttore dei centri commerciali. "Ho fatto il direttore di shopping centre per vent’anni, quindi penso di conoscere bene questo mestiere -commenta Stefano Pessina, asset management & letting advisory Generali Real Estate-. La funzione del direttore di centri commerciali è fondamentale come snodo relazionale tra i tenant e la proprietà. I centri commerciali sono paragonabili per fatturato a piccole, medie e grandi industrie: si va da un minimo di 70-80 milioni fino ai 500 milioni dei centri commerciali più grandi. Quindi, la competenza e l’affidabilità delle persone è condizione indispensabile per condurre con autorevolezza un centro commerciale. E l’autorevolezza non è solo il risultato di un insieme di competenze tecniche specifiche, ma rispecchia anche il valore culturale e professionale di un direttore".
Il convegno Adcc ha fornito anche la cornice per la presentazione di un sondaggio (i cui risultati sono stati anticipati da Andrea Piccu e Umberto Sozzi, rispettivamente Ad di Top Image e Teveco), al quale hanno partecipato 92 direttori di centri commerciali. Il 67% dei 92 direttori che hanno partecipato al sondaggio ha un’età fra 30 e 50 anni (il 57% sono 40-50enni) e il 30% va da 50 a 60 anni. Il 60% è laureato, il 33% ha il diploma di scuola media superiore, il 7% anche un master. Il numero medio dei tenant per centro commerciale è 44. Il 40% non ha partecipato a corsi di formazione specifici o strutturati. Il sondaggio è stato fatto anche per capire le esigenze formative dei direttori, esigenze molto varie perché dipendono dai settori di attività, come emerge chiaramente dalla slide qui sotto (che saranno disponibili sul sito di Adcc).
Il futuro è omnichannel e temporary
Nei centri commerciali del futuro ci sarà sempre più spazio per i temporary shop. Ne è convinto Massimo Costa, presidente di Assotemporary, consapevole che il temporary non è più ormai in sé un’innovazione visto che Assotemporary è nata nel 2008. Il temporary è però una di quelle innovazioni che non invecchiano, ma si adeguano plasticamente alle tendenze della contemporaneità, anche in termini di design e format. "Il negozio temporaneo è l’ultima frontiera del retail -precisa Costa-, e risponde ai tre requisiti del commercio al dettaglio nell’era eCommerce e soprattutto dell’intelligenza artificiale: esperienza, intrattenimento e sorpresa".
"Il temporary store ha creato una nuova figura professionale, il property manager di più negozi temporanei -aggiunge Costa- che si affianca a quella, omologa, del property manager nel residenziale". Il fenomeno del temporary store è molto diffuso ormai nelle nostre città, più nei centri urbani che nelle gallerie dei centri commerciali nelle quali è però assai più noto e apprezzato (oseremmo dire "sdoganato") di spazi non commerciali come il coworking o altre analoghe aree di relax e leisure.
Nella ri-evoluzione dei mall, i temporary store giocano un ruolo certamente importante e vivacizzante ma non più di quello che l’esperienza nella sua accezione più capiente rivestirà nel riposizionamento nei centri commerciali fisici/tradizionali, che devono vedersela con quello che lo stesso Paolo Putrino, segretario di Adcc, ha definito in apertura di lavori, il più grande centro commerciale del mondo: Amazon.
I centri nell’era dell’AI
I colossi dell’eCommerce come Amazon sono all’avanguardia anche nella sperimentazione del retail 4.0 e quindi dell’intelligenza artificiale (AI) applicata.
"L’intelligenza artificiale (secondo alcune stime) porterà al retail un incremento del 50% dei profitti" ha ricordato Massimo Costa. E Stefano Pessina, asset management & letting advisory Generali Real Estate ha aggiunto che già l’intelligenza artificiale è così sviluppata da potere influenzare al 100% le decisioni degli elettori in materia politica e all’80% nel campo del marketing e delle vendite.
Ma questo non toglierà il primato all’esperienza, anzi ne accentuerà la necessità soprattutto nel retail che, pur essendo permeabile a moltissime innovazioni techno-digital anche utili, è sempre più teatro, scena, relazione, socialità, sensi ed estetica, insomma in una parola esperienza: il contrario dell’AI per come oggi conosciamo o ci viene presentata l'AI (l'Intelligenza artificiale può avere applicazioni utilissime nella vita quotidiana, ma come sempre non vengono realizzate né verranno mai proposte: per esempio, con un algoritmo sarebbe possibile conoscere la partner ideale, sottraendosi alle bestialità del caso, il fattore unico che domina la vita umana, ndr).
Quindi, conclude Pessina, "I centri commerciali non sono in crisi, si stanno trasformando".
I centri commerciali "venderanno tempo"
"L’esperienza che si fruisce in un centro commerciale non è limitata alla sola vendita di prodotti -prosegue Pessina-. Noi proprietari di gallerie vendiamo tempo (corsivo mio, ndr) e non solo prodotti e marche. CityLife Shopping District è un esempio da manuale di come un centro commerciale è anche un luogo sociale, nel quale troviamo un’utenza che va dal terziario agli studenti. Il perno di questa attrazione è la food court. La valenza sociale di queste destinazioni rende necessarie strutture e iniziative come l’entertainment anche se hanno una bassa capacità di spesa locativa".
CityLife Shopping District è uno primi due centri commerciali, insieme a Centro Leonardo a Roma, a far parte del portfolio della nuova business unit creata da Generali Real Estate per investire (finora 1,5 miliardi) nei centri commerciali: entro fine anno se ne aggiungeranno due, uno in Spagna e uno in Italia (Pessina non specifica, al momento).
Dalla food court alla food hall
CityLife ha un'offerta food diffusa, cioè distribuita su un'area coperta che corrisponde alla food hall all'interno della galleria, in corrispondenza del cinema Anteo; e su altri locali che aprono in diversi punti dei viali e delle piazze all'esterno, come Poke House e Peck. Il tema food court e food hall ci riporta quasi automaticamente a Roberto Bramati, presidente di Spazio Futuro e della Commissione Retail&Food del Cncc, esperto di ristorazione e notevole gourmet lui stesso. Bramati individua nel passaggio da food court a food hall una tappa ben precisa: "Centro Campania è stato il punto di partenza con 48 ristoranti divisi (24+24) su due livelli e maxi-schermo chiamato il secondo San Paolo da quanto è diventato punto di riferimento alternativo allo stadio partenopeo. Le aree ristorazione dei centri commerciali tradizionali rappresentavano non più del 6-7% del fatturato di un centro -precisa Bramati- oggi la zona ristorazione soprattutto se è evoluta nella più moderna food hall può arrivare anche al 30% per stabilizzarsi su media del 20%”.
Ma dov’erano i gestori di centri commerciali? Se lo è chiesto Gaetano Graziano, vicepresidente Adcc-Associazione direttori centri commerciali, a conclusione di un convegno "che ha cercato -commenta Graziano- di affrontare l’argomento più urgente oggi (come rivalutare i centri commerciali, soprattutto se datati), ascoltando i direttori, che ben conoscono queste realtà: le società di gestione non hanno ritenuto opportuno partecipare. Forse non hanno considerato che lavorando in modo congiunto si potrà capire meglio quale sarà il futuro del centro commerciale nell’era del click".