Centri commerciali il ritorno sulla scena del capital market

Roberto Zoia Cncc
Roberto Zoia, presidente del Cncc (Consiglio nazionale dei centri commerciali)
Nel 2025 il mercato proseguirà nel segno della ripresa, anche per gli investimenti nel retail real estate, anticipata dai top deal del 2024 (Roma Est e Forum Palermo). I rendimenti sono più alti rispetto ad altre asset class

Ottimista per i risultati che si prospettano alla fine del 2024 (partendo dal trend dei primi nove mesi e in particolare del Q3), Roberto Zoia, presidente di Cncc, indica nel 2025 un anno di svolta soprattutto per gli investimenti. Già nel 2024 due top deal come Roma Est e Forum Palermo hanno contribuito a riaccendere i riflettori sull’asset class centro commerciale.

Quali sono le principali priorità per il 2025?
Fra i leit motiv 2025 segnalo subito il lavoro che faremo come Cncc per accentuare l’importanza della S e della G di Esg ed elaborare i rispettivi (e più sofisticati) criteri di contabilizzazione. I centri commerciali sono protagonisti locali di un grande impatto sociale sui territori in cui operano: la ricchezza prodotta, infatti, che include anche la creazione di posti di lavoro, ha un impatto diretto sui territori e sulle comunità. Forse non siamo ancora riusciti a spiegare in modo incisivo questi effetti. Nel complesso ambito della S, ad esempio, rientra anche il tema del lavoro e delle pari opportunità. In merito al divario di genere, sarà sempre più importante uscire dalla logica un po’ schematica del fifty-fifty e delle quote, per concentrarsi sulla qualità, agendo sempre più sulle differenze retributive e le possibilità di carriera, aspetti su cui, come industria, possiamo essere innovatori. Pertanto, ben venga che oggi le direttrici di centri commerciali siano almeno il 50% del totale, ma poi bisogna vedere quante professioniste diventano Ad di grandi aziende o di fondi e Sgr.

L’industria dei centri commerciali cambierà molto? O cambierà di più il concetto stesso di centro commerciale?
Questi ultimi quattro anni ci hanno aiutato a velocizzare un processo di metamorfosi che era già in atto, i retail mix sono molto cambiati e l’àncora non è più rappresentata da supermercati e ipermercati. La crescita esponenziale del commercio online degli anni 2020-2021 si è arrestata, a favore di un ritorno dell’acquisto nel retail fisico, seppur con logiche nuove: infatti, i brand e le aziende che meglio performano nel canale brick&mortar, sono le stesse con strategie efficaci nel virtuale. Per questo motivo, l’omnichannel è oggi la formula vincente, e dobbiamo dedicarci ad iniziative che contribuiscano ad accrescere l’interesse e la motivazione dei clienti a visitare i luoghi fisici. A fine 2024 possiamo ribadire che il modello centro commerciale funziona. Se ne stanno accorgendo anche gli investitori: nelle più recenti operazioni, hanno infatti puntato ai fondamentali dell’asset, ai kpi, alle performance, senza limitarsi ai soliti pregiudizi nord versus sud, in quanto un centro commerciale deve e può funzionare a prescindere dalla sua localizzazione geografica.

Quanti sono i centri commerciali in vendita in Italia?
In linea teorica, a tutti i landlord potrebbe interessare fare “asset rotation”. Ciò non significa che ci sia disponibilità totale degli asset in vendita e a qualunque prezzo stabilito dall’acquirente. Infatti, sino ad ora, non c’era un mercato, venivano preferite altre asset class come gli uffici o la logistica, ma nel 2025 vedremo un mercato “core” più interessante. Il cambiamento è iniziato nel 2024, anche a livello europeo, dove il mantra generale è “retail is back”. I motivi sono principalmente due: da un lato, le performance positive, dopo la pandemia e l’inflazione a 2 cifre; il secondo aspetto riguarda, invece, i rendimenti dell’asset class retail che ora sono più alti con un tasso medio del 6,5%, contro la logistica al 5% e redditività anche inferiori per gli hotel. Abbiamo dimostrato al mercato che il centro commerciale resiste anche a forti “stress test” e può crescere, sebbene rimanga una realtà complessa da gestire: non è, infatti, più pensabile avere come unico obiettivo quello di incassare affitti; è necessaria un’efficace strategia, che includa investimenti su più fronti (sostenibilità, servizi, retail mix) per garantirsi insegne attrattive.

Con Confimprese avete presentato le nuove linee guida per la gestione dei centri commerciali
Il messaggio chiave delle linee guida elaborate con Confimprese è il seguente: il rapporto con i tenant deve iniziare quando un punto di vendita apre e non finire quando si è finalizzato il contratto. In altre parole, dobbiamo fare squadra a 360°, investire tempo sulla relazione, abbattere diffidenze e pregiudizi, superando anche situazioni contraddittorie nelle quali, per esempio, il leasing manager si interfaccia con chi si occupa di sviluppo, ma poi i rispettivi responsabili marketing non si incontrano mai. È sempre più evidente la necessità di un marketing comune che si basi su un efficace scambio di dati, perché non ci sono alternative valide a una reale ed effettiva collaborazione: non esiste centro commerciale senza retailer, così come non esistono retailer senza centri commerciali.

Cosa ne pensa della figura del retail manager?
Ci credo molto. Negli outlet village è una figura già conosciuta da tempo. Sono convinto che sarà una delle professioni del futuro nel nostro settore, anche se richiede una certa esperienza ed “anzianità”. Dopo l’apertura del punto di vendita, il retail manager è l’interlocutore per gestire eventuali problemi: si tratta di un ruolo chiave di collegamento tra proprietario, gestore e retailer, per contribuire ad aumentare le performance del mall. Ovviamente c’è un costo da considerare, ma è un investimento su cui già diverse property si stanno orientando. Oggi il terreno è fertile per far crescere questo nuovo ruolo.

Le vostre richieste al mondo politico sono cambiate?
La nostra principale richiesta al mondo politico insiste ancora su una maggiore flessibilità sul piano normativo che elimini le asimmetrie competitive con i colossi dell’eCommerce. Ci impegneremo affinché la politica ci aiuti a sciogliere molti incagli normativi, che si traducono in limiti e opportunità perse per la nostra Industria. Per esempio, grandi retailer specializzati in articoli sportivi, per aprire in un centro commerciale, chiedono il 10% di superficie alimentare da adibire a vendita di bevande e alimenti per chi pratica sport: può succedere che, in alcuni comuni, il processo si blocchi perché non consentono questa deroga se non disponi della licenza per i prodotti alimentari. Inoltre, nonostante la riduzione degli spazi degli ipermercati abbia comportato una disponibilità di superficie, spesso non si può convertire in nuove unità food a causa di limitazioni comunali e regionali. A questo si aggiunge che, se un centro commerciale ha una destinazione interamente commerciale, non si possono aprire attività di servizi. Sono solo alcuni esempi, che aiutano a capire perché sia necessario trovare nelle norme sulla concorrenza nuovi margini di flessibilità, per poter garantire alla nostra industria di essere competitiva a livello nazionale e internazionale. Tornando ai colossi del retail online, se da un lato, come abbiamo visto, c’è una normativa stringente sul commercio fisico e la burocrazia continua ad essere un problema non trascurabile, sulle piattaforme online c’è massima libertà di azione per lanciare sconti, promozioni o vendite straordinarie. Se consideriamo poi il fatto che il consumatore ormai acquista quando ne ha voglia e quando può, mi chiedo: ha ancora senso che il legislatore imponga alle attività commerciali e ai clienti il calendario dei saldi regolandone il periodo?

Chiudiamo con un tema da prima pagina: i centri commerciali di fronte ai cambiamenti climatici.
Non è un tema, è il Tema del futuro. È necessario investire sulla prevenzione, con un monitoraggio asset per asset che valuti la rischiosità, così da avviare gli interventi necessari per la sicurezza dei dipendenti e dei clienti, oltre che degli asset stessi. Quello climatico è il vero problema e anche l’Industria dei centri commerciali deve avere una strategia per affrontare il climate change. Non possiamo farci trovare impreparati: vanno condotti audit per gli asset esistenti e, se già realizzati, è consigliabile ampliarli alla luce degli eventi catastrofici che sempre più spesso si stanno verificando.

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