Sul futuro dei centri commerciali, ma anche di tutti i grandi luoghi di attrazione sociale (dai musei ai teatri, dalle piazze e dalle vie dei centri urbani ai concerti, per non parlare di tutte le tipologie di ristorazione commerciale) incombe una spada di Damocle: il distanziamento sociale imposto in queste settimane da necessità e reiterati provvedimenti legati alla salute pubblica, rimarrà una misura temporanea o entrerà nel sistema relazionale e sociale degli italiani per un periodo più o meno lungo?
Stefano De Robertis, direttore marketing di Eurocommercial Properties, società di investimento e proprietà immobiliare in Italia dal 1992, che ha nel suo portfolio fra i più importanti centri commerciali nazionali (in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, ma anche nel Centro della Penisola) mi circostanzia l'interrogativo con ulteriori e più dettagliate domande, rivolte non solo a se stesso, ma anche all'intero settore dei centri commerciali: "cosa ci permetteranno di fare le istituzioni in tema di spazi, ambienti, affollamenti, food court, eventi, servizi (spesso erogati in stanze chiuse e particolarmente piccole di dimensione)? Le file contingentate alle medie superfici di vendita o il rilievo delle temperature con termoscanner agli ingressi saranno superati o saranno, invece, provvedimenti di questo tipo a cambiare l'impostazione gestionale dei flussi di visita? Serviranno particolari permessi? Ci saranno restrizioni imposte da Asst, Comuni, Prefetture? Le persone rimarranno riluttanti ai luoghi chiusi o a permanere in luoghi frequentati da molta gente in poco tempo?".
Quale scenario si prospetta per l'industria dei centri commerciali?
In un momento di profonda angoscia e incertezza come quello che stiamo vivendo, è molto difficile azzardare previsioni e bilanci provvisori, anche perché va compresa la portata complessiva sia della situazione attuale sia di quello che ci aspetta dopo. Non abbiamo ancora idea di quando esattamente si potrà vedere una via di uscita plausibile da una pandemia che sta sconvolgendo il nostro pianeta e la nostra società. Occorrerà comprendere nel medio e lungo periodo gli effetti a catena nel nostro settore, anche in relazione ai timori di una possibile recessione economica dalle conseguenze globali, e alle reazioni/sostegni dei Governi centrali.
Questo vuol dire che non potete ancora fare valutazioni sulla possibile perdita in termini di visite (footfall)?
In relazione agli andamenti del footfall nel primo semestre 2020, non ci sentiamo di fornire o ipotizzare cifre, non conoscendo la fine delle disposizioni legislative che impongono la quasi totalità delle chiusure dei punti di vendita nei centri commerciali. Ma appare superfluo constatare che le affluenze generali si sono fermate, ad eccezione dei flussi negli ipermercati, in seguito ai provvedimenti di limitazione agli spostamenti e ai divieti di assembramenti.
Il centro commerciale, luogo simbolo dell'aggregazione, perde dunque progressivamente la sua linfa vitale, il traffico, senza distinzione tra grande centro di attrazione regionale o centro di prossimità. Possiamo solo constatare che, dopo la sostanziale tenuta del primo bimestre 2020, già alla fine del mese di febbraio si registravano cali progressivi di visitatori, soprattutto nei grandi centri, parallelamente al moltiplicarsi delle notizie sulla diffusione del covid 19 provenienti dalla Cina.
Si potrà tornare alla normalità?
Economisti, esperti, sociologi e antropologi, ma in primis scienziati e medici stanno proponendo in questi giorni all'opinione pubblica analisi, previsioni e scenari del dopo coronavirus. Il nostro settore potrà tornare alla normalità quando si ripristineranno le condizioni di partenza, cioè quelle di salute pubblica garantita e di ripresa della vita sociale dei cittadini. Certo è che alcuni effetti nel medio periodo si manifesteranno. Non necessariamente negativi.
Quali sono saranno questi effetti?
Una ripresa dei consumi di tipo edonistico: viaggi, benessere, salute ma anche shopping ed evasione. I centri commerciali potranno recitare una parte importante nel recupero di quote di mercato significative.
L'eCommerce rafforzerà il suo ruolo di protagonista che in questi giorni è stato apprezzato anche da chi non era abituato a utilizzarlo: vedremo quella integrazione reale on/off, di cui tanto abbiamo discusso in questi anni, in termini di accelerazione per nuovi format ibridi del retail dove click and collect, delivery, drive in, eCommerce site, saranno formule perfettamente integrabili nel sistema dei centri commerciali.
Poi ci sarà il grande sforzo della comunicazione di tornare a far percepire il centro commerciale come luogo sicuro e salubre, ma anche spazio di vita in cui ritornare ad incontrarsi, a usufruire dell'offerta commerciale e di servizio, a divertirsi.
Alcune aziende con conti economici instabili già prima di questa emergenza, dovranno riorganizzarsi per non soccombere a un'eventuale carenza di liquidità; è fondamentale che il Governo risponda agli appelli lanciati in questi giorni dalle associazioni di categoria per un'equità di trattamento anche per i piccoli negozi presenti nei centri commerciali.
Non mancheranno le opportunità per lanciare o rilanciare nuove funzioni commerciali e di servizi: un esempio potrebbe venire dallo smart working. Da questo punto di vista offrire spazi comodi e professionalmente attrezzati per il lavoro in movimento e a distanza, come i co-working, potrebbe venire incontro a una nuova domanda di servizi in tal senso sia dai clienti sia dalle imprese.
Interessante anche notare la riconversione su altri business dei retailer tradizionali (vedi Miroglio e Petit Bateau) che per l'emergenza covid si sono messi a produrre mascherine, e che magati potrebbe aprire in futuro a nuove nicchie di mercato non strettamente retail.
L'industria dei centri commerciali reggerà?
L'industria dei centri commerciali in Italia è composta da molti operatori, fra i quali proprietà e società di consulenza gestionale e commerciale con basi solide: la maggior parte sono grandi gruppi internazionali che garantiranno la tenuta per tutto il settore.
Che fine farà il marketing basato su socialità e territorio? Verso quali orizzonti dovrà guardare l'industria dei centri commerciali?
Il futuro comportamento sociale potrebbe rappresentare una di quelle opportunità che in genere ogni crisi offre. Penso che il marketing territoriale e sociale ne uscirà notevolmente rafforzato grazie alla piena consapevolezza che non ci potrà essere valore economico senza valore sociale, anzi che quest'ultimo sarà sempre più fattore trainante del primo.
La naturale inclinazione del popolo italiano ad essere forte e solidale in questi momenti viene lodata da tutto il mondo e sarà di slancio per un'attenzione verso tematiche di aiuto e sostegno al terzo settore e no profit. Penso a donazioni, sostegni a campagne nazionali sociali, aiuti alla economia locale, coperture assicurative allargate ai lavoratori e ai propri familiari. Non sarà più una responsabilità sociale di facciata, ma una serie di azioni concrete per migliorare e sostenere la nostra società e il nostro pianeta. Si sono moltiplicati gli appelli e gli esempi virtuosi non mancano: ognuno è tenuto a fare la propria parte.
In questo momento critico, Eurocommercial con i suoi centri commerciali sta partecipando alle iniziative di sostegno per gli ospedali di Bergamo, Cremona, Modena, fra le province più colpite dal virus.
Il centri commerciali rivaluteranno quindi la leva della Csr e dei social.
Certamente. In termini di digital marketing, la lezione più importante che si apprende da questa crisi è che i canali social e online possono fornire un completamento interessante sia all'offerta di contenuti anche inediti, sia per un intrattenimento che, se anche non avverrà nel luogo fisico, potrà essere utile alla qualificazione dei contatti, alla generazione di nuovi pubblici e in ultima analisi alla fidelizzazione del brand shopping centre.
Il centro commerciale come prodotto e soprattutto come luogo è alle prese con la più grande crisi che abbia mai vissuto sin dalla sua nascita, ma si riapproprierà delle sue funzioni originarie, questa volta a fianco dei cittadini, come spazio ormai pubblico in cui rispondere a nuove istanze ed esigenze di aggregazione in sicurezza, di evasione, di shopping e divertimento, perché in fondo le nuove distanze ci riavvicineranno...
Sono sostanzialmente d’accordo con le considerazioni di De Robertis. Il mondo è sopravvissuto, in tempi meno tecnologici e di minori risorse, alla Peste nera del Medioevo, alla Spagnola e all’asiatica. Ce la faremo anche stavolta, certo con grande fatica e con uno sforzo di creatività notevole. Tutto sommato i centri commerciali sono luoghi dove è possibile applicare misure di sicurezza e sanificazione molto meglio che in altri siti.
Certo sta a noi trovare soluzioni nuove, in cui la spinta alla responsabilità sociale non sia solo un’espediente di immagine per fare bella figura, ma entri nel nostro DNA, rendendo i Centri Commerciali un luogo di aggregazione sicura non solo per chi ci sta dentro, ma per i territori in cui operano. Certo molti modelli di comportamento e di consumo cambieranno. Si potrà rilanciare l’edonismo e i consumi, ma anche l’egoismo e l’isolamento. Dipenderà anche dalle scelte e dalle impostazioni culturali che faranno i nostri governanti, i gestori dei centri e più in general tutti i cittadini.
Da tutte le crisi si può uscire guardando in avanti oppure indietro. Senza fare niente o appellandosi al disfattismo se ne esce all’indietro e non è quello che vogliamo.
Il nostro modello di sviluppo ha dei difetti enormi, ma non mi sento di dire che tali difetti siano quelli che hanno generato l’epidemia. Casomai non ci aiutano ad uscirne nel modo migliore, e bisogna cambiare strada. Il come farlo, però, non può essere puramente una scelta ideologica o regressiva, ha bisogno innanzitutto di una forte attenzione alla responsabilità sociale, una lotta a sprechi e ineguaglianze , una diversa impostazione del rapporto tra stato e mercato. Anche i centri commerciali dovranno preoccuparsi più di essere realmente un modello aggregativo e di servizio funzionale e meno di apparire semplicemente il Paese di Bengodi. Un uso più razionale degli spazi. consentirà di dare più servizi a un costo minore. Una migliore integrazione con i tessuti urbani potrà farne dei poli di sviluppo anziché delle cattedrali nel deserto.
E’ presto per dire quali saranno le soluzioni, perché ancora non sappiamo quanto durerà e quanti danni farà a crisi, ma è importante incominciare a pensarci subito. Due impostazioni vanno certamente evitate: quella del Gattopardo, di fingere di cambiare tutto perché nulla in realtà cambi, e quella di crogiolarci nella regressione del mito della decrescita felice.
Nella forchetta di queste alternative bisogna mettersi a lavorare alla ricerca di soluzioni. Gli strumenti tecnici di queste soluzioni potranno anche divenire “segreto aziendale” dei singoli operatori, ma l’impostazione culturale ed economica delle soluzioni dovrà essere uno sforzo comune, in cui ognuno si impegni a mettere a disposizione le idee senza segreti.
Propongo di avviare una specie di grande “BRAINSTORMING SOCIALE”, che può avere inizio anche a distanza, senza aspettare che la crisi sia finita.