Nel corso di questi ultimi anni, tra gli enti rappresentativi di diversi territori (nazionali, locali o sovranazionali) si è sviluppata un’accesa competizione per il sostegno della crescita economica delle proprie aree, sia in termini di nascita, permanenza e crescita di attività già insediate, che di attrazione di attività produttive nuove o da rilocalizzare.
Prescindendo dagli strumenti particolari che possono essere adottati a questi fini, un fattore comune a tutti gli interventi è rappresentato dai livelli di tassazione sulle imprese e sulle attività produttive in genere; per agire su questo strumento senza scompensare gli equilibri complessivi dell’economia e della finanza pubblica dello Stato e delle diverse istituzioni territoriali è necessario, tuttavia, guardare al “modello gestionale” degli enti.
Il modello tuttora dominante, caratteristico “in primis” del nostro Paese, è assimilabile a quello delle grandi imprese integrate: lo Stato eroga e gestisce direttamente una gamma molto vasta di servizi, sull’ipotesi che questi altrimenti non verrebbero resi o verrebbero resi a prezzi inaccessibili alla gran parte della popolazione.
Nell’ambito di un modello così delineato, da un lato non viene effettivamente verificata la possibilità di ridurre i costi complessivi di gestione; dall’altro, si ha necessariamente una presenza minore che altrove dell’“economia di mercato” e, quindi, una pressione fiscale su questa maggiore che altrove, con il risultato di contrarre a livelli minimi la probabilità di conseguire risultati significativi di crescita economica e di attrazione di investimenti dall’esterno. Anche l’elevata tassazione sui redditi da lavoro, causa del ben noto “cuneo” fiscale, si collega strettamente alla massiccia presenza di attività dirette dello Stato: in assenza di attività “di mercato” rilevanti, infatti, il finanziamento delle attività statali deve basarsi in misura non secondaria sulla tassazione dei redditi da lavoro, compresi quelli che lo Stato paga per la gestione dei servizi erogati e finanziati con la tassazione pubblica.
Per uscire dalla spirale perversa tra tassazione elevata e contrazione dell’economia “di mercato” alcuni gestori “pro-tempore” delle diverse realtà locali hanno attuato una riduzione drastica della tassazione, senza intervenire, contemporaneamente, sul modello di gestione dei servizi pubblici: il risultato di queste operazioni è stato quello di portare gli incassi da tassazione ben al di sotto della spesa pubblica, determinando deficit crescenti.
L’alternativa reale è, invece, quella di una seria ristrutturazione della Pubblica Amministrazione, che poterebbe prendere spunto dalle operazioni di ristrutturazione che le imprese hanno attuato nel corso degli ultimi quindici - venti anni.
Spinte dalle sfide della competizione globale, prima, e della crisi economica, poi, le imprese si sono tendenzialmente focalizzate soltanto su alcune delle attività necessarie per gestire le proprie offerte, affidando sistematicamente ad altre imprese, a loro volta specializzate, altre attività del loro processo di offerta. Anche le imprese maggiori, che dall’esterno appaiono ancora integrate e quasi “autosufficienti”, si sono articolate in unità elementari che operano nei confronti delle altre componenti aziendali in concorrenza con altri operatori esterni e spesso sono spinte a ricercare “clienti” anche al di fuori del “perimetro” aziendale. Infine, molte imprese hanno attivato relazioni di collaborazione anche con imprese concorrenti, instaurando, così, relazioni di co-opetition che ribaltano i modelli classici della concorrenza: i comparti dell’aeronautica, dell’informatica e dell’automotive comprendono gli esempi forse più noti, ma casi molto significativi si ritrovano anche nella moda, nell’alimentare ed in molti altri sistemi di offerta.
Ebbene lo Stato, gli Enti Locali ed i rispettivi cittadini potrebbero ottenere vantaggi di costo e di qualità dei servizi prendendo spunto da queste esperienze, affidando l’erogazione dei servizi ad imprese specializzate nelle diverse attività, scelte in regime di concorrenza sulla base di bandi che comprendano la possibilità di progettazione “ad hoc” delle modalità di organizzazione ed erogazione dei diversi servizi.
Un tale cambiamento della “struttura” dello Stato, tuttavia, richiede anche una ridefinizione di attività e mansioni: le prime dovrebbero essere concentrate sulla preparazione di bandi chiari e coerenti con gli obiettivi perseguiti; le seconde dovrebbero comprendere posizioni organizzative di elevato livello professionale, con dirigenti capaci di svolgere non solo attività di controllo, ma anche di miglioramento continuo dei servizi anche attraverso il rinnovamento periodico dei bandi di gara emessi nel tempo anche per gli stessi servizi.
I candidati all’esercizio di questi ultimi, peraltro, non devono essere necessariamente imprese private: da un lato, anche lo Stato può essere imprenditore, senza privilegi nei confronti di terzi; dall’altro, anche tra le diverse strutture dello Stato può essere incentivata la concorrenza “tra pari”, considerando, peraltro, le diversità locali in termini di densità della popolazione, infrastrutture disponibili, ecc., prevedendo, sull’esperienza della co-opetition, spunti significativi al superamento della mera concorrenza tra gli Enti e le rispettive “IRI locali”.
Altro che operazioni di “spending review”, che prima o poi vengono accantonate o da cui deriva la scelta inflessibile di tagliare drasticamente il numero delle “auto blu”!