Secondo un’opinione diffusa tra i nutrizionisti, la quantità di caffè che si può bere in un giorno “senza effetti collaterali” non dovrebbe superare le tre tazzine, equivalenti a 300 mg di caffeina. Nel mondo ne vengono consumate ogni giorno tre miliardi di tazze, e quasi cento milioni di questi caffè sono bevuti in Italia, che è il settimo paese per consumo pro capite con una media di 1,6 tazze al giorno e 5,5 kg all’anno di materia prima. La media si avvicina ai due caffè quotidiani, se si considera che l’80% dei maggiorenni dichiara di non rinunciare mai al piacere del caffè, mentre il 5% non lo beve mai (Nielsen).
Tre caffè al dì possono essere salutari per un individuo sano, ma tre miliardi di caffè al giorno cominciano a diventare un problema per un pianeta non molto in forma. Dopo il cacao, che ha superato i massimi storici di prezzo a causa della scarsità del raccolto (determinata dalle condizioni climatiche), potrebbe essere il turno del caffè. L’Università di Scienze Applicate di Zurigo ha pubblicato uno studio basato su quattordici modelli di calcolo, da cui emerge un verosimile scenario: i terreni per la coltivazione di caffè potrebbero dimezzarsi entro il 2050, a causa del global warming. Contemporaneamente, la domanda cresce più in fretta del dato demografico: dal 1990, i consumi globali sono raddoppiati (179 milioni di sacchi nel 2022) e il caffè è la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua. Ora un gruppo di ricerca congiunto dell’Università di Udine e dell’istituto di Genomica applicata, grazie al sostegno di illycaffè e Lavazza, ha provato a rispondere all’emergenza ricostruendo per la prima volta la sequenza genomica del caffè arabica. I risultati, che potrebbero avviare l’elaborazione di nuove varietà più adattive e produttive, sono già pubblicati sulle pagine di “Nature Communications” a vantaggio di tutta la comunità scientifica (e agricola). Per Francesco Bosso di illycaffè, intervistato su Altavia Watch, la linea da seguire è proprio questa: "Creiamo alleanze con grandi player del settore (come CO2alizione Italia di cui fa parte anche Nespresso, ndr) per condividere buone prassi, progetti, soluzioni, e ricevere stimoli. Il cardine dell’innovazione sostenibile è l’open-source".
Rimane difficile regolare un mercato da centoventi miliardi di dollari (tale è il valore del caffè torrefatto globale), ma a renderlo ancora più inquinante e di difficile controllo è la complessità degli scambi: la filiera del caffè origina dalle piantagioni di Sudamerica, Vietnam e Indonesia e si snoda con passaggi intercontinentali verso chi trasforma, chi confeziona e infine chi vende. In questa staffetta ha un ruolo di spicco e una parte di responsabilità l’Italia, che è leader nell’esportazione di caffè torrefatto, con ordini in aumento (+12,9%). I numeri parlano chiaro perché la salute di questo mercato si misura in sacchi: l’industria italiana negli ultimi dieci anni ha raddoppiato il volume delle esportazioni (quasi sei milioni di sacchi all’anno) per un giro d’affari che mette in moto più di metà (55%) della produzione nazionale. Tra i driver di crescita c’è il successo del caffè monoporzione: nel consumo domestico, avverte Francesco Bosso, cialde e capsule potrebbero superare il caffè macinato entro il primo trimestre del 2024, in Gdo con una spiccata preferenza per le confezioni big size. Ma anche il mondo horeca si interessa da tempo a questo segmento, attirando gli investimenti dei brand su linee dedicate. Il rovescio della medaglia è sui materiali di scarto delle comode capsule: plastica e alluminio che raramente vengono smaltiti correttamente o avviati al riuso. Ancora un brand italiano apre la strada a un consumo più responsabile: la cialda (all’anagrafe ESE pod, easy serving espresso) è un’invenzione di illy del 1974, oggi compostabile al 100%, che porterebbe il trend del monodose su una strada più sostenibile.