La pandemia, tra i suoi effetti, ha richiamato senza possibilità di deroghe la questione dell’organizzazione del lavoro, che deve essere ora affrontata con variabili nuove rispetto al passato ed abbracciando le nuove possibilità, in primis riconducibili alle nuove tecnologie, che sono oggi a disposizione.
I soggetti preposti per mettere ordine e trovare soluzioni funzionali dopo le i periodi di transizione, sperimentazione (e in qualche caso di randomico pilota automatico) sono sicuramente i C-level, dove C sta per Chief e indentifica i top manager delle diverse aree dell’azienda (Chief Information Officer, Chief Financial Officer, ecc.), che hanno raggiunto il massimo livello esecutivo, diventando responsabili e rappresentando, nel loro insieme la cosiddetta C-Suite.
Infatti, che il dibattito sull’organizzazione del lavoro fosse in fieri già da lungo tempo, avendo radici scientifiche ben profonde è indubbio, ma che uno shock come la pandemia imponesse di ridefinire i termini in maniera repentina e altresì saggia nei confronti del futuro, determina un livello di complessità (e in certi casi di stress) non indifferente sia per C-level, sia per tutto il resto della platea dei lavoratori.
Per indagare questi aspetti in maniera più puntuale, partendo dallo stato dell’arte, LinkedIn ha commissionato uno studio ad hoc - LinkedIn Future of Work 2021- che è stato pubblicato a fine settembre 2021 ed è stato condotto su oltre 1.300 executive C-level in tutta Europa, in aziende con oltre 1.000 dipendenti e circa 300 milioni di euro di fatturato annuo. Lo studio evidenzia che quasi tre quarti (73%) dei senior business in Italia si sono sentiti sotto pressione, dovendo adattare le loro policy post COVID-19 al posto di lavoro, e rilevando come i dipendenti siano stati la fonte più frequente di questa pressione. Questo perché lo stesso dipendente è oggi pronto a nuovi modelli di lavoro, magari già saggiati nelle loro potenzialità proprio in situazione di emergenza, su cui ora si potrebbe intervenire per ricavarne uno standard sostenibile.
La ricetta di compromesso in tutto questo panorama pare mettere in fila tutti ingredienti riconducibili al lavoro ibrido che, infatti, risulta essere il modello preferito dai C-level, con quasi tre quinti (58%) che afferma che questo sarà il modello che applicheranno. Poco meno di un quarto (23%) dichiara che il lavoro flessibile è il modello che ha adottato o che cercherà di introdurre a breve.
In generale, lo studio mette in luce come vi sia consapevolezza diffusa che le nuove modalità lavorative siano destinate a rimanere. La metà dei business leader italiani, infatti, afferma di avere intenzione di proporre la nuova procedura di lavoro flessibile nel lungo termine, mentre un ulteriore 11% offrirà il lavoro flessibile nel medio.
I dati raccolti risultano giustificare un tale approccio dato che il 47% (quasi 1 italiano su 2) preferisce il modello mix casa-ufficio, contro il 23% che auspicherebbe un tempo pieno da casa e un 30% a favore di un tempo pieno in ufficio.
Come nella maggior parte dei casi, una soluzione di compromesso è quella più sensata, tanto che nel breve termine, l’adozione del flexible working è considerata una priorità: l'89% della C-Suite afferma di voler trasformare digitalmente la propria azienda per supportare nuovi modi di lavorare nei prossimi 6 mesi, e l'87% conferma che l’introduzione di una nuova modalità lavorativa sarà fondamentale.
Al fine di supportare i dipendenti in questa fase, l'85% dei manager dichiara di avere già a disposizione o di avere intenzione di realizzare una “guida” dedicata al lavoro ibrido o flessibile, e l'89% afferma che affiancherà manager e dipendenti attraverso attività di formazione per massimizzare le possibilità di successo del lavoro flessibile. Nello specifico, in merito allo sviluppo delle policy, le aziende stanno assumendo o stanno pianificando di assumere figure dedicate per supportarne l’elaborazione: il 43% preferisce rivolgersi ad un tecnico, mentre il 24% opta per assumere personale dedicato.
Infine, affinché l’introduzione del lavoro flessibile si dimostri un reale successo, i business leader italiani considerano la collaboration (38%), la fiducia (38%), la comunicazione (36%) e il lavoro di squadra (36%) le competenze chiave necessarie ai dipendenti.
In merito a quanto fin ora descritto, Marcello Albergoni, Country Manager LinkedIn Italia, conclude: “Abbiamo visto che flessibilità è la nuova parola d’ordine, elemento chiave in questo momento di transizione, sia per il capitale umano sia per le imprese. Le aziende devono impegnarsi a realizzare nuove policy che facciano sentire tutti inclusi - indipendentemente dal luogo di lavoro scelto. Le sfide non saranno poche, ma grazie ad una cultura aziendale inclusiva e ad una leadership comunicativa sarà possibile mettere le persone, e i loro bisogni, in primo piano”.