La preoccupazione, su questo fronte, è alta, perché Brexit non riguarda solo i produttori britannici, ma qualunque produttore, sia Ue sia al di fuori dell’Unione, che serve il mercato Uk.
È la prima volta che un Paese membro dell’Unione decide di lasciarla, le trattative di un divorzio non saranno semplici e la permanenza di una situazione di incertezza sui mercati non sarebbe senza conseguenze.
Il grande tema sul tavolo sono i rapporti commerciali. Il Regno Unito importa il 50% del proprio fabbisogno alimentare: cosa succederà? Si negozierà un Eea (European Economic Area), che, di fatto, non modificherà lo status quo, se non per il fatto che il Regno Unito non avrà più diritto di parola nella definizione della legislazione? Oppure l’Europa deciderà di equiparare il Regno Unito a qualunque altro membro del Wto, soggetto dunque a tassazioni nell’ordine del 30% per lo zucchero, del 20% su tabacco e bevande, del 10% su frutta e verdura? Oppure ancora si sceglierà la linea morbida del patto bilaterale, come quello in vigore con la Svizzera, sostanzialmente senza controlli e tariffe? E cosa significheranno le nuove relazioni commerciali lungo la supply chain? Brexit potrebbe portare a una rottura totale degli schemi delle supply chain e nulla esclude che alcuni alimenti possano essere reperiti più facilmente in Paesi Extra Ue. In termini più tecnici, poi, le incertezze riguardano anche gli aspetti legislativi: potenzialmente, il Regno Unito potrebbe introdurre propri regolamenti, con il rischio che alcuni tra i principali produttori alimentari scelgano la relocation al di fuori del Regno Unito, oppure che decidano per un “downgrade” delle attività britanni che, dando maggiore rilevanza ad altri mercati.
Lato Ue, altre preoccupazioni riguardano le certificazioni di qualità o le denominazioni d’origine di alcuni prodotti. Considerate le posizioni che, negli anni, il Regno Unito ha assunto in sede di Commissione Europea, qualche problema potrebbe insorgere.
Sul fronte lavorativo, il settore agrolimentare è uno di quelli che nel Regno Unito registra la presenza di lavoratori stranieri, spesso con pochi skill e qualificazioni. Bisognerà rivedere i contratti in essere? In quali termini? Per quanto riguarda, invece, il mercato retail, la preoccupazione fondamentale è legata a fattori macroeconomici, in particolare al valore della sterlina.
Altre considerazioni riguardano i piani di espansione di alcuni player in Europa. Ci sarà probabilmente un ripensamento strategico, non solo da parte degli operatori britannici, per i quali l’entrata nei Paesi Ue potrebbe non essere più così semplice, ma soprattutto per quelli che arrivano da OltreOceano e che hanno spesso utilizzato il Regno Unito come trampolino di lancio verso il resto d’Europa. Un calo di attrattività è da mettere in conto, soprattutto per chi rischia di dover aprire azioni di doppio accreditamento (con la Ue e con Uk) prima di arrivare in Europa.
Altri aspetti più generali riguardano il ruolo avuto dall’Europa, e di cui anche il Regno Unito ha beneficiato, dalla spinta per la diffusione della banda larga, alle azioni in materia di protezione dei dati, alla promozione del digital single market, una sorta di mercato unico online, aperto a tutti i cittadini europei.
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