Cortometraggi, serie web e tv rappresentano una declinazione del branded entertainment in forte evoluzione che sta definendo la prossima sfida per la comunicazione di marca.
Per quanto non ci siano dati numerici rilevanti a supporto - la loro innovazione è recente - gli ultimi progetti identificano delle leve strategiche che si muovono in uno scenario fluido, multicanale e, soprattutto transmediale. Il futuro dello storytelling di brand prevede una declinazione su più canali e piattaforme, anche molto diverse tra loro, in una narrazione espansa dove uno stesso stimolo narrativo crea altre storie, sia legate a esperienze social che a progetti di brand.
È quanto emerso durante la seconda edizione di BE Short, evento organizzato da OBE – Osservatorio Branded Entertainment e Giffoni Innovation Hub, in collaborazione con DCA – Digital Cinema Advertising, dove sono state sottolineate le capacità pervasive di progetti che fondono comunicazione di marca e linguaggio cinematografico per raccontare valori e mission del brand.
Rispetto allo scorso anno ci sono passi avanti nel superamento di quello che era stato definito da OBE "il paradosso dei corti": a fronte di uno sforzo economico e progettuale importante, la copertura e distribuzione di questi prodotti risultavano troppo limitate nel tempo e nello spazio.
L'attuale cambiamento e diversificazione nella strategia di distribuzione determina un cambio passo: i progetti cinematografici analizzati in occasione dell'evento OBE non sono stati proiettati solo al cinema o in occasioni di grandi eventi, ma diffusi anche in televisione, sui social e piattaforme on demand, spesso con declinazioni del prodotto nel formato della miniserie, come il corto “Una notte a Torino”, realizzato da Lavazza e trasmesso a puntate sui canali Sky, totalizzando oltre 2 milioni di spettatori, 3 milioni di views e 15 milioni di impression sui social.
Anche se parliamo di un settore, quello del branded entertainment, con un valore di 619 milioni di euro (ricerca sul mercato del BE 2022/2023 in Italia, condotta da OBE e BVA Doxa, in partnership con RTI), quando si parla nello specifico di short movie e branded series, oggi più che i dati, parlano le esperienze. I corti presentati all’Anteo di Milano in occasione di BE Short e discussi nei panel dedicati, tracciano la strada verso una nuova visione del prodotto di intrattenimento che richiede massima coerenza e chiarezza negli obiettivi, sin dalle primissime fasi di progettazione. Questo significa definire subito quelle che saranno le modalità di distribuzione e il viaggio che il prodotto di intrattenimento farà insieme ai suoi spettatori.
Alla base, vi è un cambio del focus narrativo, rimarcato da Anna Vitiello (Direttore scientifico di OBE):i prodotti di intrattenimento non si rivolgono più agli spettatori ma parlano dei consumatori. Un esempio, tra quelli presentati il 24 novembre, è la branded serie Yolo, prodotta da Philadelphia, dove i protagonisti sono i Millennials e i loro momenti tragicomici. Anche in questo caso emerge l'elemento più interessante delle nuove produzioni cinematografiche firmate dai brand, quello della fluidità di formato, linguaggio e piattaforma: un aspetto chiave, che determina il passaggio dalla crossmedialità alla transmedialità.
Una storia, mille declinazioni
Nello storytelling crossmediale uno stesso contenuto viene veicolato utilizzando canali diversi: i cambiamenti sono solo di tipo stilistico, utili a farlo fittare su più piattaforme. In questo modo ci si assicura la presenza su più canali mantenendo, però, la medesima linea narrativa.
Decisamente più articolato è il concetto di transmedialità. Coniato nel 2006 da Henry Jenkins nel saggio “Convergenze culture. Where old and new media collide”, identifica una storia che si sviluppa attraverso molteplici piattaforme mediali, dove ogni nuovo testo fornisce un contributo distintivo e prezioso per l’intero sistema.
Creare un progetto transmediale significa dar vita a un universo narrativo con declinazioni differenti. Il caso più celebre è quello di Star Wars, dove la parte cinematografica non è che uno dei pezzi di un puzzle più ampio che coinvolge serie, eventi, cosplay. Esperienze simili e pionieristiche le troviamo con Netflix che intorno alle sue serie di maggior successo ha creato eventi esperienziali per i suoi fan (dal ristorante ispirato al futuro distopico di Black Mirror ai pop-up store di Stranger Things).
“La differenza sostanziale tra crossmediale e transmediale – specifica Anna Vitiello – è il processo strategico e creativo alla base della realizzazione del progetto. Il classico esempio di prodotto crossmediale è il libro che diventa film, o serie: la storia è sempre la stessa, viene semplicemente adattata. Un progetto transmediale prevede un punto di partenza, quello che Riccardo Milanesi (Direttore dell'Holden.ai StoryLab, docente di Transmedia Storytelling alla Scuola Holden e alla Sapienza Università di Roma, Transmedia designer, ndr) chiama il “rabbit hole”, uno stimolo che ingaggia e poi conduce in un’esperienza trasversale, in cui ogni media rappresenta una parte dell’universo narrativo".
Alcune esperienze
I corti presentati in occasione di BE Short vanno proprio in questa direzione. Ognuno di loro introduce uno o più aspetti di transmedialità, ponendo le basi per una progettazione strategica che può generare altre forme narrative su altri canali.
Una notte a Torino, di Lavazza, trasforma l’heritage in intrattenimento intrecciando due storie torinesi narrate direttamente dai loro protagonisti: Luigi Lavazza, fondatore dell’azienda di torrefazione e Angelo Moriondo, inventore della prima macchina per espresso. Deus ex machina del corto è la creator e attrice Valeria Angione che, rivolgendosi direttamente a chi guarda e infrangendo la quarta parete, apre a un dialogo tra media cinematografici e social.
L’idea di “rabbit hole” come ingaggio per generare interesse su progetti sociali è alla base degli short movie Imma, i sogni non si macchiano di Dixan e Adamo, di Plasmon.
Il primo accende i riflettori sulla situazione di povertà estrema vissuta da 1,4 milioni di bambini italiani e sull’impossibilità di accedere a prodotti e servizi per l’igiene personale, con conseguente emarginazione e impatti sull’autostima. Il corto, prendendo spunto da situazioni reali, apre alle narrazioni a lieto fine possibili grazie all’impegno della Fondazione CESVI e delle sedi Casa del Sorriso.
Adamo, di Plasmon, è una storia che arriva dal futuro, in un 2050 in cui l’Italia ha, dopo anni, un solo nato. Il racconto della crescita di un bambino senza coetanei e senza servizi di riferimento rimarca l’allarme della denatalità italiana e lancia l’omonimo progetto, rivolto alle aziende, per supportare una necessaria inversione di tendenza.
Un prodotto interamente transmediale e in costante evoluzione è infine Cassandra, primo cortometraggio transmediale realizzato grazie all’incontro tra intelligenza umana e artificiale e prodotto da Scuola Holden e Rai Cinema. Il rapporto tra la story trainer Agatha e Cassandra, un’intelligenza artificiale capace di prevedere eventi reali è la prima parte di un racconto che dallo short movie si espande ai social (grazie ai profili dei protagonisti), podcast e giochi interattivi. Un racconto futuristico che diventa ingaggiante nel presente e promette di porre le basi per nuove logiche della narrazione.
L'esempio del rabbit hole presente nel corto "Cassandra" apre una nuova era dello storytelling di brand, dove sperimentare un engagement su più livelli in cui il video rappresenta il punto di ingresso per un racconto multiplo che va a generare nuove forme di interazione e relazione con i consumatori.