Dopo decenni ai minimi storici, l’inflazione è in forte crescita. La stima flash di Eurostat a febbraio fa segnare un nuovo record del 5,8%, in aumento dal 5,1% di gennaio. La situazione non è migliore in Italia dove si attesta a 5,7% e dove praticamente tutti i settori si trovano alle prese con la gestione della crescita del costo dell’elettricità e del gas naturale, così come delle altre commodities, che rischiano di rallentare la ripresa.
I principali motivi che spiegano l’aumento dei prezzi sono una combinazione di fattori di domanda (ripresa economica), di offerta (carenza delle materie prime) e finanziari (molto capitale a basso costo), il tutto ulteriormente aggravato dall’invasione russa dell’Ucraina, che sta pesando molto soprattutto sul prezzo dei beni energetici non regolamentati e di diverse risorse prime, tra le altre cose.
In questo contesto, i produttori di beni di largo consumo vedono i propri margini operativi fortemente sotto pressione. Le aziende leader del settore (tra cui Coca Cola, P&G, Unilever, PepsiCo, Barilla, Mondelez, etc.) hanno già aumentato sensibilmente i listini per far fronte a parte dei rialzi, i cui effetti sono già visibili nel carrello della spesa. Ma fino a che punto è possibile alzare i prezzi senza mettere a rischio la relazione con i clienti?
Nei casi di forte aumento dei costi il prezzo rappresenta la leva più facile da azionare, per avere un impatto sui conti nel breve termine. È però opportuno sottolineare che incrementi di prezzo eccessivi possono anche causare effetti contrari a quelli sperati, come il drastico crollo delle vendite con conseguenti perdite di fatturato. Infatti, nel definire l’aumento dei prezzi è cruciale seguire un approccio metodologico che tenga in considerazione la risposta di ogni prodotto del portafoglio, data la diversa elasticità al prezzo. Alcuni prodotti scontano una maggior pressione rispetto ad altri ed è fondamentale studiare accuratamente il posizionamento rispetto ai competitor per non perdere competitività a scaffale. Gli elementi di behavioural economics - come soglie psicologiche di prezzo e disponibilità a pagare del consumatore (willingness to pay) - possono giocare un ruolo chiave nell’elaborazione di una strategia di prezzi vincente.
Per pianificare al meglio un aumento dei prezzi è però consigliabile ricorrere a studi di mercato per comprendere a fondo il comportamento del consumatore, cosa spesso trascurata per perseguire obiettivi finanziari di breve o brevissimo termine.
La buona notizia è che non esiste solo il prezzo per far fronte a una situazione fortemente inflazionistica. Uno strumento molto utile e spesso poco utilizzato è la gestione integrata del mix. Infatti, guidando attivamente e in modo integrato il mix canali-clienti-marche-prodotti-formati è possibile ottenere importanti performance. Come? Dando priorità a una marca o un cliente in quanto più profittevoli; riducendo investimenti promozionali o pubblicitari e dirottandoli verso altri brand; concentrando gli sforzi commerciali su determinati canali e negoziando più facing a scaffale per alcuni prodotti a scapito di quelli con margini inferiori. L’esperienza dice che il mix management è più facile a dirsi che a farsi; infatti è spesso ostacolato da dinamiche aziendali per le quali non si vuole ridurre risorse in determinate parti del business, anche se limitatamente utili ai fini aziendali, per questioni meramente politiche.
Un’altra leva di azione per le aziende di beni di consumo che vogliano migliorare i loro margini è quella promozionale. È importante ricordare che, a seconda delle categorie, le aziende produttrici investono tra il 10% e il 20% del fatturato in attività promozionale come sconti diretti, multi-buy 2x1 o 3x2, esposizioni nel punto di vendita, etc. Spesso le aziende hanno poca visibilità sull’efficacia di queste iniziative, e poche sono capaci di misurare il Roi (return on investment) delle singole attività. Considerando le ingenti risorse spese nel comparto promozionale, altrettanto elevate sono le opportunità di risparmio derivanti dall’ottimizzazione degli investimenti promozionali. Infatti, mettendo in pratica approfondite analisi di costi e benefici dell’attività promozionale, le direzioni commerciali possono ridefinire le loro strategie promozionali ottimizzando, per esempio, la profondità degli sconti, la durata delle promozioni, l’ampiezza dell’assortimento promozionale, in modo da risanare i margini mantenendo solo le promozioni ad alto impatto. È opportuno sottolineare che per implementare queste iniziative, le aziende devono essere disposte, come per il mix, a sacrificare parte dei volumi che prima erano venduti (o svenduti) in promozione, a favore di un margine totale più elevato.
Infine, la risposta alla crescente pressione sui costi può anche derivare dall’azionare la leva formato, in gergo “pack” o “pack-price”. Ci sono due modi per attivare questa leva: una di breve e una di medio-lungo termine. Nel breve periodo, una maniera per affrontare l’aumento dei costi è il cosiddetto “downsizing”, ossia la riduzione di grammatura mantenendo lo stesso prezzo, anche chiamato “underfilling” quando il formato resta lo stesso e si riduce solo la quantità di prodotto. Questa pratica può certamente comportare aumenti di profittabilità nel breve termine senza movimenti di prezzo, ma allo stesso tempo rappresenta un’iniziativa prettamente tattica che può causare reazioni controverse nella distribuzione e nel consumatore. Nel medio-lungo termine invece l’applicazione di logiche di segmentazione alla gestione di formato può toccare elementi più strategici. Per esempio, per rispondere alla necessità di coprire un prezzo psicologico appetibile, le aziende possono complementare il loro portafoglio con formati più piccoli (entry pack), che soddisfano necessità di light-user o di ristretti nuclei familiari, consentendo invece a shopper con consumi più elevati (heavy user) alla ricerca del risparmio di optare per formati grandi a prezzi più vantaggiosi (best-buy pack).
Riassumendo, il formato può rappresentare sia un’opportunità di breve termine (esempio: rispondere a un forte aumento dei costi), sia una risposta strategica a necessità di lungo periodo, dove una architettura di formati e prezzi (pack-price architecture) elaborata permette di coprire uno specchio più ampio di willingness to pay, rendendo il portafoglio più competitivo. La sfida per le aziende produttrici è mantenere una visione di lungo periodo facendo fronte a necessità di breve termine. Per questo sarà fondamentale disegnare strategie commerciali che includano tutte le leve indicate, perseguendo un approccio olistico e integrativo che riduca la dipendenza dalla leva prezzo. Per farlo, sarà cruciale sviluppare competenze e profili trasversali che spazino tra sales, marketing e finance, così da assicurare l’implementazione di iniziative strategiche di ampio respiro, andando oltre l’orizzonte dell’individualismo direzionale.
* Global Revenue Growth Strategy Manager, PepsiCo
* Dipartimento di Economia Marco Biagi, Università di Modena e Reggio Emilia