La Generazione Z, nota anche come Gen Z, True Gen o iGen, Plural, Post-Millennial o Zoomer, racchiude i giovani nati tra il 1997 e il 2012. Formata da più di 2 miliardi di persone nel mondo, è l’ unica generazione composta esclusivamente da nativi digitali: un/a Gen Z non conosce, né ricorda il mondo senza Internet. Questa generazione scardina totalmente ciò di cui le precedenti, in percentuale differente, portavano ancora traccia: un modello basato sulla rottura e la ribellione a regole imposte. L’esempio più evidente è quello del rapporto con le figure genitoriali ed educative, in genere. Oggi, è molto diffusa la volontà di negoziare, trovare un compromesso che rende meno “intoccabili” le “autorità”, che devono sempre più spesso giustificare ogni loro azione, andando oltre l’imposizione senza sé e senza ma. L’ulteriore elemento disruptive è sicuramente la tecnologia che ha aperto a scenari e possibilità sempre in evoluzione, creando standard, aspettative e abitudini fino ad un punto di non ritorno (complici anche fattori congiunturali come la pandemia).
Ecco, quindi, che volendo leggere quella che è la realtà del retail attraverso le lenti di una generazione come la Z (anche in prospettiva quella Alpha dei nati dal 2012 in poi) è un esercizio interessante, in tempi in cui l’atto di vendere fine a stesso è riduttivo, e non può più esaurire la mission di un qualsiasi brand. È, infatti, finito il tempo di un capitalismo tradizionale per cui tutto il funnel di vendita aveva nella conversion la sua realizzazione più piena. Oggi, il successo di un brand passa per una customer experience di livello dove i clienti si sono sentiti ingaggiati e assistiti a pieno, tanto da – nei casi meglio riusciti – fidelizzare il cliente, se non farlo diventare una sorta di (più o meno volontario) brand ambassador. Essere competitivi per un target come la Gen Z è, quindi, sinonimo di cura per aspetti come l’ominicanalità, in un’esperienza frictionless che fluidamente permette un’esperienza tra i canali fisici e online, identificando nello smartphone lo strumento principe di relazione, sia che si tratti di eCommerce oppure di interazione con digital signage in uno store fisico.
Su tutti questi canali la creatività deve essere la parola d’ordine: complici i social media e i loro format (dai reel alle stories, ecc.) bisogna saper comunicare il proprio brand in un modo che sia “memorabile” e che scateni possibilmente un’interazione con il brand stesso sulle varie piattaforme. La capacità di “generare traffico” online, ad esempio, è qualcosa di assai complesso per la Gen Z che, adottando un approccio diffidente, tende a offrire poche interazioni a chi non è nel suo “inner circle”: un recente studio di Meta mostra che, complice la pandemia, la Gen Z abbia ripiegato su poche relazioni autentiche, e questo anche per quel che riguarda le loro connessioni con il business. Vi è, infatti, la tendenza di questo gruppo d’età a riporre la propria fiducia su creator che sappiano farsi interpreti delle loro necessità in un ecosistema non percepito come ostile, nel senso più ampio possibile. Di fatto, questo approccio conferisce al brand il ruolo di “facilitatore relazionale”, che con le sue scelte di influencer marketing, geomarketing, strategia, investimenti in tecnologia ecc., riesce o meno nei suoi obiettivi di contact, prospect, e lead generation, oltre che a fidelizzare i già clienti.
A queste considerazioni, se ne aggiunge una che è forse la più importante perché racchiude l’essenza dei bisogni della Gen Z, ovvero l’autenticità. Come afferma Raffaella Pierpaoli, Head of Content and Social di InTarget, azienda di consulenza strategica nel marketing digitale, “La generazione Z che stiamo osservando è composta da un pubblico eterogeneo ricco di sensibilità diverse che vive senza soluzione di continuità online e offline, un flusso continuo dell’esperienza utente dal piano online a quello offline e viceversa. […] I ragazzi hanno bisogno infatti di vivere moltissime relazioni autentiche sia tra persone che con i brand e quello che chiedono a loro è proprio quello di instaurare assieme una relazione autentica sul piano valoriale. Autenticità significa anche coerenza e farsi carico di problemi sociali cari ai ragazzi”.
L’autenticità, intesa anche come coerenza e coraggio nell’esporsi per migliorare la società, è una prerogativa di una generazione che fa di movimenti come i Friday for Future o di altre bandiere come la diversity, la body positivity e tante altre citabili, qualcosa di imprescindibile e identitario, al di là delle accuse di superficialità e malavoglia che spesso le vengono addossate. Premesso che i confini generazionali non sono né impermeabili, né invalicabili e che questo è un tratto condiviso soprattutto con i millennial, il retail deve essere cosciente di quali sono allora modalità e mezzi d’interazione per meglio intercettare questa target audience. Uno su tutti, il gaming: non solo il giocare ai video giochi fine a sé stesso, ma un modo per fare amicizia, imparare, sensibilizzare a tematiche particolari e, sempre più, un punto di contatto tra brand e utenti in un “ambiente” dove è possibile fare comunità, che dall’online può pure passare ad opportunità d’interazione offline. In questo frangente, la creazione di una community è fondamentale perché, sempre nelle parole di Raffaella Pierpaoli, “l’atto di acquisto finale diventi quasi un atto naturale, perché la relazione che si è creata tra l’utente e il brand non è più solo finalizzata alla vendita, ma è una relazione complessa basata su valori”.
Certo, a livello di marketing e strategie adottate in generale, è possibile adottare alcuni accorgimenti perché la Gen Z sia più coinvolta, tra cui:
- poter pagare dove, come, e quando si vuole (il fenomeno della rateazione anche per piccoli importi è in crescita, con conseguenze su questo punto su cui fare attenzione), specialmente tramite pagamenti digitali;
- enfatizzare i contenuti visivi e accattivanti (meno testo, più video/immagini);
- sperimentare con contenuti ed eventi interattivi: l’esempio imprescindibile è quello del Live Streaming Commerce, ovvero una modalità di vendita online che porta virtualmente il cliente in negozio in quanto consiste nella vendita in tempo reale durante una live sui social network.
In definitiva, gli spazi di manovra per ingaggiare la Gen Z nel retail, e non solo, sono molti e da sperimentare. Si tratta di prendere confidenza con un sistema valoriale che si esprime in maniera molto più visiva e veloce rispetto a prima, e che intende la gestione della relazionalità con nuovi canoni. Come afferma Damiano Antonelli, Chief Creative Officer di InTarget “Le marche possono rispondere a queste nuove esigenze della GenZ attraverso due direttive: esperienziali e di relazione. Da un punto di vista della relazione devono essere costanti e durare nel tempo, solo così saranno rilevanti per il pubblico, da un punto di vista esperienziale, soprattutto nell’ambito retail, entra in gioco la memorabilità”.