Di Andrea Frollà
Aspettative decrescenti, timore del futuro e diseguaglianze sociali hanno generato una società del rancore frammentata, debole, chiusa, regressiva. Tra le rinunce ai consumi e agli investimenti, motore insostituibile di sviluppo, e una profonda sensazione di paura, l’Italia passata dalla crisi economica del 2008 è un Paese che non riesce più a riprendere quello slancio che ha dato corpo al miracolo economico e che l’ha resa una potenza economica a livello mondiale. Ecco perché una profonda riflessione comune, che si trasformi in una spinta propulsiva per tutto il sistema Paese, non è più un’opzione rinviabile.
È una convinzione urgente e preoccupante quella che ha spinto il tandem Censis-Conad a lanciare il progetto congiunto di ricerca, comunicazione e confronto aperto a tutti gli attori del sociale (dai cittadini alla politica passando per le istituzioni e le imprese), svelato a Roma nella cornice di Palazzo Giustiniani. A presentare il progetto è stato il responsabile aree politiche sociali del Censis, Francesco Maietta, durante un evento che è stato animato da un confronto tra il filosofo Maurizio Ferraris, il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii e l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese e il giornalista Luca De Biase, moderato da Maria Latella.
L’iniziativa punta a mettere in evidenza i costi che il Paese pagherebbe nel caso in cui la società restasse intrappolata nella propria paura, nella nostalgia del passato, nel rancore, dando forza e visibilità a idee ed esperienze concrete. E percorrendo tre strade: la valorizzazione delle conoscenze attuali sul tema, la loro divulgazione nei luoghi più significativi del Paese, sia per il progetto sia per Conad, e un’intensa campagna di comunicazione.
Quest’ultima farà leva sia su tre roadshow territoriali (uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud) che coinvolgeranno stakeholder, testimonial, esperti, referenti istituzionali, politici, sia sull’alimentazione del portale Osserva Italia, l’osservatorio di Repubblica.it sugli stili di vita degli italiani e sulle loro aspettative per il futuro con notizie, dati e commenti. La chiusura del progetto prevede anche un evento di alto profilo culturale e sociale che ruota attorno alla presentazione dell’immaginario collettivo contemporaneo degli italiani. Si va poi dall’incontro con grandi personalità sui temi affrontati alla consegna del premio Top Imaginary Contest, dedicato al personaggio pubblico che ha fatto più presa sullo stato d’animo degli italiani, fino a una lectio magistralis che incarni al meglio il nuovo immaginario collettivo, rivolta agli studenti delle scuole medie superiori e universitari.
«Vogliamo e dobbiamo approfondire la relazione che si instaura tra le persone, tra loro e le comunità di cui sono parte integrante, e che inevitabilmente hanno un impatto sui consumi – ha sottolineato durante l’evento di presentazione l’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese - Serve urgentemente un pensiero di comunità: questo è ciò che ogni cittadino si attende dalla politica e dalle istituzioni. La vera sfida è conoscere a fondo territori e comunità, saper costruire una relazione a misura dei bisogni della persona, abbandonando la cultura del rancore e la paura che ostacolano la ripresa del Paese».
Un pensiero a cui hanno fatto eco le parole del direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii: «Nell’immaginario collettivo degli italiani oggi ogni sfida è percepita come una minaccia, mai come una opportunità. L’opposto dei miti, dei sogni e dei desideri dell’Italia dello sviluppo, della ricostruzione e del miracolo economico: un progresso sociale interrotto dalla grande crisi del 2008», ha spiegato Valerii commentando l’ultima fotografia scattata dall’istituto di ricerca, che disegna un quadro piuttosto cupo presentata a Roma.
L’Italia è infatti un Paese che nutre un forte disagio per il presente, ha una grande nostalgia del passato (7 italiani su 10 sostengono che “si stava meglio prima”) ed è incapace di investire nel proprio futuro. Le ragioni sono tante: dalla bassa natalità (dal 1951 a oggi si sono “persi” 5,7 milioni di giovani) alla progressiva scarsità di reddito (rispetto alla media della popolazione le famiglie giovani, con meno di 35 anni di età, hanno un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%), dalla crisi sociale allo smarrimento della cultura del rischio personale, indispensabile per rimettere in moto la crescita e i meccanismi di ascesa della scala sociale. Crescono inoltre i pregiudizi verso ciò che è “diverso” e c’è sfiducia nel merito: il 95% degli italiani è convinto che per fare strada nella vita occorra conoscere le persone giuste, oppure provenire da una famiglia agiata (88%, dato superiore al 61% dei tedeschi, al 54% degli inglesi e al 44% dei francesi). O ancora avere fortuna (93% rispetto all’89% dei tedeschi, al 77% dei francesi e al 62% degli inglesi).
Eppure, nell’ultima fase della recessione e nella timida ripresa congiunturale gli italiani dispongono di una liquidità totale di 911 miliardi di euro (cresciuta di 110 miliardi tra il 2015 e il 2017), pari al valore di un’economia che, nella graduatoria del Pil dei Paesi europei post Brexit, si colloca dopo Germania, Francia e Spagna, ma prima dei Paesi Bassi e della Svezia. Insomma, l’Italia ha smarrito la capacità di guardare avanti e si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza tuttavia seguire un preciso programma. Lo dimostra anche l’incidenza degli investimenti sul Pil scesa al 17,2%, che colloca l’Italia a distanza dalla media europea (20,5% escluso il Regno Unito, 21,1% con il Regno Unito), da Francia (23,5%), Germania (20,1%) e Spagna (21,1%).