Argea bussa alla gdo per i dealcolati

Il secondo gruppo vinicolo italiano per fatturato, maturato per il 90% con l’export, punta a rafforzare il canale horeca e apre alla possibilità di una collaborazione con i retailer (normativa permettendo) per vendere i suoi vini no-alcohol

Il mondo del vino cerca nuove vie organizzative per superare la cronica frammentazione e aprirsi ai nuovi stili di consumo per conquistare i giovani e nuovi mercati. Un modello arriva da Argea, la cui scalata, grazie a una serie di acquisizioni di cantine, è stata favorita dal sostegno del maggiore azionista, il fondo Clessidra. In breve tempo ha permesso di arrivare a essere il secondo gruppo italiano per fatturato (449 milioni) -il primo come player privato-, con 158 milioni di bottiglie annue.

Una nuova piattaforma nel settore vitivinicolo

Il progetto è partito nel marzo 2021 con l’acquisizione da parte del Gruppo di private equity Clessidra dell’azienda Botter e si è consolidato pochi mesi dopo con l’ingresso di Mondodelvino, per perfezionarsi nel 2023 con l’acquisizione di Cantina Zaccagnini. Oggi Argea ha 8 cantine di proprietà, tra Piemonte, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Abruzzo, Puglia e Sicilia. E si appoggia su molte aziende fornitrici: sono 24 le più importanti che insieme costituiscono il 60% del vino in acquisto. “Argea è una creatura nuova per il mondo del vino -spiega l’ad Massimo Romani-.  È una piattaforma in continua evoluzione, con tanti azionisti (la famiglia Botter, la famiglia Martini proprietaria di Mondodelvino, Marcello Zaccagnini proprietario di Cantina Zaccagnini), e una maggioranza chiara, quella di Clessidra, che definisce le strategie con il management team”.  Argea acquisisce le cantine, ma le famiglie reinvestono nella holding, rimangono “a bordo”, nei cda o con ruoli operativi, enologo, brand ambassador, commerciale e con ruoli di investitore e consigliere d’amministrazione. “Tutti gli ex proprietari delle cantine sono rimasti come soci all’interno del Gruppo”.

La Carta del fornitore

Nel 2022 Argea ha lanciato il progetto relativo alla filiera dei fornitori, dopo un’analisi di materialità. Una Carta del fornitore che introduce nei contratti di acquisto clausole etiche per il rispetto delle politiche di sostenibilità da estendere anche ai subfornitori. “Vogliamo manifestare una leadership nel tema della sostenibilità e tematiche Esg. Circa il 60-70% dei fornitori, grandi e piccoli, cooperative, si è messo in questo Patto di filiera. E abbiamo portato avanti tematiche come l’attenzione all’ambiente, certificazioni, uso di agrofarmaci, rispetto del lavoratore, contrasto alle discriminazioni di genere. Quest’anno abbiamo approvato il secondo bilancio di sostenibilità, abbiamo aderito al Global Compact e alla SBTi, vantiamo diverse certificazioni tra cui Equalitas. Siamo leader sul bio nei mercati nordici dove le bottiglie bio esportate arrivano al 50%”.

Rossi più drinkable, il bio cala

Argea punta quasi esclusivamente sull’export, con una quota del 90% del fatturato. Sono però tempi difficili anche per le esportazioni: i dati del semestre 2024 dell’Osservatorio Uiv-Ismea dicono che, tolte le bollicine, l’export rimane piatto, con una flessione della Germania, partner storico “Esportiamo soprattutto negli Usa, Canada, Uk e Germania.  Il biologico con la dinamica inflattiva sta calando e lascia spazio a tematiche più verticali, come il salutismo, i vini Better for you. Sui bianchi e sparkling siamo positivi, sui rossi teniamo ma grazie ad alcuni brand che stanno performando bene in alcuni mercati in calo. Abbiamo reso i rossi anche più attinenti ai consumi che ci stanno premiando, più ‘drinkable’. Alcuni nostri vini si prestano poi a essere low. E puntiamo molto sui no alcohol, una battaglia”.

La sfida dei decalcolati per conquistare i giovani

A Vinitaly il Gruppo ha lanciato la prima Antologia no-alcohol, otto interpretazioni di vitigni e uvaggi selezionati provenienti dai territori delle cinque regioni dove opera: dalla siciliana Barone Montalto, l’abruzzese Zaccagnini con i due Tralcetto, bianco e rosso, Asio Otus, la linea più innovativa, e le bollicine di Gran Passione. “Oggi purtroppo la normativa non ci permette ancora di produrli in Italia e lo facciamo in Germania (con la tecnica di colonne di evaporazione sottovuoto che consente di preservare gli aromi, ndr), dove li imbottigliamo. Abbiamo prodotto 150mila bottiglie sperimentali dopo il Vinitaly e le abbiamo terminate, un successo. Vendiamo una quantità discreta in Germania, Paesi dell’Est, e abbiamo preso accordi per gli Usa.  Stiamo facendo uno sforzo per farli qualitativamente buoni, ma serve un aiuto del sistema. Nelle ultime vendemmie è rimasta giacenza in cantina: i dealcolati partono da un vino perfetto di qualità e possono dare una mano. Perché non prenderci anche questo pezzo di mercato? Per conquistare i giovani ci vuole un prodotto e una comunicazione diversi, occorre usare il loro linguaggio non quello tecnico delle vecchie generazioni del vino. Ed è quello che fanno le altre categorie di beverage, dagli spirits alle birre, con uso anche di testimonial, influencer più comprensibili”.

Vini no alcohol in gdo?

Le strategie di Argea puntano a un rafforzamento in Italia, a cominciare dal canale horeca, ma grosse novità potrebbero arrivare in gdo dove il Gruppo è presente con stabilità. “Abbiamo un progetto sull’horeca dove dobbiamo rafforzarci, costruire una rete, dare servizio. Abbiamo vini che vanno dal Barolo al Barbaresco, Alta Langa, Prosecco, Montepulciano e Pecorino in Abruzzo, i vini dell’Etna. Nella gdo italiana andiamo bene con diversi brand, Brilla! per il Prosecco, Alta Langa, Zaccagnini (che soprattutto va forte in Centro Italia) con Montepulciano, Pinot Grigio, Pecorino. Su Barone Montalto (Sicilia) e Zaccagnini vorremmo portare avanti i vini low e no alcohol. Potrebbe essere un tema post Vinitaly (saremo allo stand 5 padiglione Veneto) se le normative lo permetteranno e qualche catena ci seguirà”.

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