Anche nel food la marca diventa insegna con un preciso percorso

Esperti – In tempi di crisi il consumatore ricerca non solo beni da consumare ma esperienze coinvolgenti e apprezza la possibilità d’interazione offerta dai pdv. (Da MARK UP 183)

1.
Integrazione verticale a valle: fenomeno in espansione, anche nell’alimentare

2.
Minori problematiche nel canale del fuori casa

Che i brand nei settori del non alimentare, a partire dalle grandi marche della moda e dell’abbigliamento, siano scesi in strada, cioè, fuor di metafora, siano divenuti più immediatamente visibili al consumatore, è un fatto ormai noto e consolidato. Basta percorrere le vie commerciali dei nostri centri storici o di quelli nelle grandi città del mondo, per verificare come, con diversi format, moltissime imprese che hanno sviluppato marchi conosciuti a apprezzati, abbiano decisamente intrapreso la strada dell’integrazione verticale a valle: attraverso corner rivisti e riadattati con formula shop-in-shop, punti di vendita monomarca, flagship store e concept store fino ai recenti esempi di guerrilla shop (temporary store e pop up store). Le ragioni di questa scelta sono evidenti: innanzitutto la possibilità di controllare la rete e, soprattutto, di gestire sul punto di vendita la comunicazione con il consumatore sfruttando la prossimità, sia per parlare con i propri clienti, sia per ascoltarli. Si tratta di un momento fondamentale per il marketing delle marche considerando che la domanda, anche in questi tempi di crisi, è sempre più alla ricerca non solo di beni da consumare, ma anche di esperienze coinvolgenti (shopping experience), ed è sempre più refrattaria ai canali di comunicazione tradizionali, mentre apprezza la possibilità d’interazione e di partecipazione che i luoghi di vendita offrono. D’altra parte, le marche sono sempre meno legate ai singoli prodotti e sempre più espressione e sintesi di proposte concettuali più estese, dagli stili di vita alle neo tribù di consumatori e più in generale di individui.

Molti casi di successo nell’away from home

Nell’alimentare, viceversa, l’integrazione a valle si è sempre scontrata con un problema di asimmetria tra dimensioni del portafoglio prodotti e marche delle imprese di produzione, e domanda di varietà e di concentrazione degli acquisti espressa dai consumatori e soddisfatta dall’ampiezza e dalla profondità dell’assortimento dei format despecializzati a base alimentare (ipermercati e supermercati).

Se tutto ciò ha limitato le opzioni di integrazione delle imprese che gestiscono le grandi marche nell’ambito dei fast moving consumer good nei canali grocery, la situazione sembra decisamente diversa nei canali del fuori casa. In questo caso i limiti tipici posti dalla dimensione dell’assortimento si riducono sensibilmente: la specializzazione è infatti un valore riconosciuto e apprezzato dai consumatori.

Per quanto riguarda le opportunità, la più intrigante è la possibilità di replicare le esperienze positive del non food soprattutto in termini di valorizzazione della marca e in particolare dell’arricchimento del suo valore esperienziale e narrativo. In tal senso le marche superano un problema tipico che consiste nella perdita di visibilità all’interno del canale a causa delle operazioni di trasformazione che i prodotti subiscono nei processi di erogazione del servizio di ristorazione, alla fine dei quali le materie prime, anche se di marca, non sono più riconoscibili.

Si tratta, inoltre, di un’operazione che ha una valenza strategica anche in termini di internazionalizzazione e di strategia multicanale. Esistono esempi di successo internazionale come Starbucks, naturalmente, ma il numero d’imprese e marche italiane con percorsi e strategie differenti inizia a essere significativo. Siamo al fashion food?

* TradeLab


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