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1. La contaminazione ha contagiato consumatori e punti di vendita
2. Rafforzando l’esperienza d’acquisto
e moltiplicando
le occasioni di visita
Contaminazione, fusion, mix and match. I termini coniati per indicare il fenomeno sono tanti, ma il trend è inequivocabile. I comportamenti di acquisto dei capi di abbigliamento e degli accessori sono sempre di più all’insegna della dispersione, del connubio di punti di vendita, stili e brand differenti. Nel guardaroba convivono i pantaloni delle catene fast fashion e i sandali griffati, la giacca vintage e la borsa acquistata sulla bancarella. La stessa persona migra da Zara a Gucci, passando per il mercato o per il negozio second hand. Il tutto viene vissuto dal consumatore non come un ripiego, come una necessità, ma al contrario come un elemento di valore. Significa, cioè, saper scegliere di volta in volta il meglio, il pezzo più adeguato in rapporto alle proprie disponibilità di budget e al proprio gusto. Così, se fino a qualche tempo fa nessuno avrebbe confessato “questo capo l’ho preso in un negozietto dell’usato”, oggi lo shopping nei negozi second hand è dichiarato apertamente. Anzi, in alcuni casi, è addirittura motivo di vanto. Ma la contaminazione consente di raggiungere anche un altro obiettivo: creare uno stile personale, originale, caratteristico.
Si tratta, in tal senso, dell’opposto del total look che, per qualche tempo, hanno proposto molti stilisti. La crescente diffusione di questo approccio al fashion system è attestata anche dal successo, in rete, di siti che propongono esclusivamente foto di look presi dalla strada. In questi fashion blog (come www.thesartorialist.com oppure http://jakandjil.com) sono riprese persone perlopiù comuni che, nelle diverse città del mondo, si distinguono per il proprio modo di vestire. In questo modo il processo si inverte: non sono i guru della moda a ispirare il consumatore, ma è il consumatore che fornisce idee e suggerimenti.
Stile originale in primis
All’origine della diffusione dei comportamenti all’insegna del fusion si pongono due fattori. Da una parte vi è la complessiva contrazione delle disponibilità di spesa. A fronte di un budget più ristretto, i consumatori cercano opportunità in grado di garantire il miglior rapporto tra la qualità richiesta, attesa, e il prezzo. Ha origine da qui il ricorso a canali quali gli outlet reali o virtuali (come il sito www.yoox.com), i negozi second hand o le catene fast fashion. Peraltro, una volta conosciuti, questo genere di punti di vendita diventano parte integrante del proprio percorso abituale di acquisto ed entrano nel range delle alternative prese in considerazione. Dall’altra parte si pone la ricerca di uno stile che sia davvero originale, unico, distintivo. In un sistema di consumo che è sempre più globalizzato l’espressione dell’individualità passa attraverso la selezione e l’accostamento. Se in quasi tutti i negozi posso trovare pressoché lo stesso modello di pantaloni, come posso distinguermi? La soluzione adottata dai consumatori è semplice: basta indossare quei pantaloni con una cintura originale degli anni ‘60 oppure abbinarli con una t-shirt dipinta a mano. Si spiega in questa maniera anche il successo di prodotti personalizzabili, modificabili in base alle richieste e al gusto del singolo cliente. Così, per esempio, Momaboma, marchio bolognese di borse e accessori, ha creato il progetto MyMomabona: il cliente può far realizzare una borsa, una sacca o un taccuino utilizzando immagini scelte personalmente (dalle foto dei figli alle pagine di un giornale).
Anche i pdv sono contaminati
La contaminazione ha contagiato non solo i consumatori, ma anche i punti di vendita. Mentre, cioè, in passato i retailer del settore fashion erano prevalentemente monosettoriali (ovvero offrivano quasi soltanto capi di abbigliamento), oggi all’interno dello stesso spazio espositivo si possono trovare, le une accanto alle altre, svariate tipologie di prodotto. Si va dagli abiti alle calzature, dai cosmetici ai bijoux. E non mancano generi merceologici molto più lontani dal tessile, come i piccoli elettrodomestici per la casa o le gourmandises alimentari. Antesignano di questo trend è Dover Street Market, ubicato al numero 17 dell’omonima strada londinese. Questo grande store si presenta come una sorta di mercato dove si possono trovare brand affermati del fashion system e nomi emergenti della moda alternativa, mobili in edizione limitata e golfini stracciati. In questo modo ogni prodotto viene valorizzato nella sua specificità, indipendentemente dal suo valore commerciale. Anche la più semplice maglietta può risultare preziosa e seducente quasi quanto un gioiello. Negozi di questo tipo sono sempre più diffusi anche in Italia. È il caso, tra gli altri, a Milano di 10, Corso Como e a Roma di Tad, acronimo di Tendenze e Antiche Debolezze. Di fatto questi store tendono a divenire spazi di svago, in cui i clienti possono girovagare e trascorrere del tempo in modo piacevole. Non a caso, le aree dedicate alla vendita sono affiancate da zone di ristoro, che rafforzano l’idea di sosta e incontro. Anche i format più tradizionali, come i multispecialist e i family store, si stanno muovendo in tale direzione. La classica ripartizione in reparti separati, ognuno con i propri prodotti, si è via via diluita, favorendo la creazione di grandi spazi in cui convivono pantaloni e foulard, giacche e stivali. Un esempio emblematico è costituito dal department store di Milano Duomo de La Rinascente. A seguito dell’acquisizione, avvenuta nel 2005, il grande magazzino è stato completamente riposizionato, con l’obiettivo di farne un punto di riferimento nello shopping (e non solo), un luogo in cui trovare idee, suggestioni, novità. Interessante appare anche il caso di Ovs Industry. All’interno dei negozi i capi di abbigliamento, che rappresentano la parte più importante dell’offerta, sono abbinati agli accessori. Il fenomeno è particolarmente evidente negli spazi dedicati ai bambini, dove il tessile convive, in totale continuità, non solo con gli accessori ma anche con gli articoli di cartoleria. Anche le catene specializzate stanno ampliando il range di offerta in un’ottica che non è improntata solo alla contiguità merceologica. Così, per esempio, i negozi monomarca Yamamay hanno introdotto, a fianco delle collezioni underwear e beachwear, una linea di cosmetici per il corpo, mentre Breil Milano, nome legato a gioielli e orologi, ha creato una linea di borse in pelle che sono presentate e vendute accanto a orecchini e bracciali.
E l’obiettivo dei retailer?
Che cosa porta, e comporta, il passaggio dall’organizzazione dell’esposizione per ambiti ben definiti alla contaminazione dei generi? Di fatto il fusion permette di raggiungere un duplice obiettivo. In primo luogo consente di rinforzare l’esperienza di acquisto, che da semplice azione (entro, scelgo, compero) si trasforma in una sorta di piccola esplorazione, in un percorso disseminato di curiosità e sorprese. Il consumatore entra attirato da un paio di pantaloni e trova, sul ripiano a fianco, una borsa, una cintura oppure un paio di orecchini. Si muove di pezzo in pezzo, costruendo una sorta di itinerario di acquisto che è anche, o prima di tutto, un’esperienza ludica, divertente. In secondo luogo moltiplica le occasioni di acquisto. La visione di molteplici prodotti, accostati secondo una logica di affinità di stile, stimola l’acquirente, gli sollecita nuove voglie: entra per fare un giro e dare un’occhiata ed esce con in mano almeno un sacchetto.
A mutare non è solo la logica di composizione del guardaroba ma è anche la strutturazione temporale degli acquisti. Mentre, cioè, in passato i capi più importanti della stagione (per esempio i capi spalla per l’autunno/inverno) venivano comperati principalmente all’inizio della stagione stessa (settembre/ottobre e aprile/maggio), oggi si assiste a una totale destrutturazione del timing. Accade sempre più spesso che ad agosto si comperi il cappotto e a gennaio l’abito in voile. Questo cambiamento è dovuto a due fattori principali. Da una parte vi è stato un mutamento di strategia delle aziende, che hanno intensificato i lanci, con la creazione di collezioni spot, spesso in netto anticipo rispetto alla stagione. Ciò, naturalmente, favorisce e incentiva l’acquisto, al di là delle effettive esigenze del momento. Dall’altra parte si è verificata una proliferazione dei canali di vendita e, in particolare, di quelli che propongono capi in offerta. Si pensi, per esempio, ai temporary store oppure ai factory outlet center. Questi spazi offrono forti sconti (dal 30% al 70%) su capi griffati di collezioni precedenti, ma comunque attuali sul piano stilistico. Trovare, in giugno, una giacca in cachemire scontata di oltre la metà rappresenta un potente incentivo all’acquisto, a prescindere dalla stagionalità e dalla reale esigenza del prodotto. Il processo di destrutturazione è stato sostenuto anche da un altro elemento, vale a dire il pressoché continuo rinnovamento dell’offerta delle catene del fast fashion. Le insegne come Zara, Mango o H&M introducono spesso (anche più volte alla settimana) nuovi capi e modificano, ruotano, l’allestimento delle collezioni già in store. Questo aumenta nei consumatori la sensazione dell’urgenza dell’acquisto: se non lo compero subito, rischio di non trovarlo la prossima volta. Non solo: la velocità di rinnovamento incrementa la frequenza della frequentazione. Ci si va spesso spinti dal desiderio di esplorare, di trovare capi nuovi, diversi, che la volta precedente non c’erano. In tal senso l’approccio è, per certi versi, simile a quella che caratterizza il mercato: l’esplorazione ludica, la ricerca divertente e autogratificante.
Le tendenze di acquisto
- Fusion ➔ il consumatore passa dalla boutique all’outlet, dalla bancarella dell’ambulante al negozio vintage
- Personalizzazione ➔ si va alla ricerca di capi diversi, particolari, distintivi
- Experience ➔ l’acquisto non è un atto funzionale ma un percorso esplorativo
- Destrutturazione ➔ gli acquisti sono temporalmente destrutturati, disancorati dalla stagione in corso
Che cosa significa fusion
- … per i consumatori ➔ indossare i pantaloni di Zara con la borsa griffata, mixare i gioielli vintage all’abito trovato sulla bancarella dell’ambulante
- … per gli store ➔ proporre, all’interno dello stesso spazio, generi merceologici diversi oppure introdurre, in un negozio specializzato in un certo settore, prodotti appartenenti ad altri ambiti
Nei pdv all’insegna della contaminazione
- L’offerta è trasversale, multiservizio
- L’ambiente è esperienziale, dinamico
- Il target è alla ricerca di novità, di percorsi inediti
Da... a...
- Da total look a scelte personali
- Da verticalità a orizzontalità
- Da negozi di abbigliamento a concept store
Allegati
- Moda10-globalizzazione
- di Anna Zinola / gennaio 2010