Agrifood, l’export italiano non è solo per le grandi aziende

Export agrifood
Per l’Italia, forte nell’export di prodotti lavorati, il 2022 si annuncia un altro anno in crescita nonostante le incognite del contesto internazionale

Bilancia commerciale in positivo per l'export italiano. In una stagione in cui si ripete spesso che “piccolo non è più bello” a livello imprenditoriale, l’agrifood fa in parte eccezione. Non che le dimensioni non siano importanti per avere risorse da investire a difesa della competitività, ma resta uno per le Pmi.

È uno degli elementi che si ricava dalla lettura del report Sace intitolato Agroalimentare: Italia, una (pen)isola felice

Usa al vertice dell’export

A livello globale, nel 2021 gli scambi di prodotti agroalimentari hanno superato i 1.550 miliardi di euro, di cui quasi il 70% generato da 20 Paesi. Al primo posto figurano gli Stati Uniti con circa 148 miliardi di vendite oltreconfine (il 9,6% del totale), seguiti da Paesi Bassi1 (6,4%), Brasile (5,4%), Germania (4,9%) e Francia (4,5%). L’Italia, forte nell’export di prodotti lavorati - vini e spirit su tutti) -, a fronte di un import composto in larga misura da prodotti agricoli o comunque in fasi iniziali di lavorazione, presenta un saldo commerciale in positivo di 4,6 miliardi di euro e si posiziona al nono posto tra gli esportatori mondiali e all’ottavo tra gli importatori.

L’agrifood italiano è caratterizzato da un tessuto imprenditoriale composto in prevalenza da piccole imprese dalla buona dinamicità oltreconfine.

Piccole imprese protagoniste

Nel 2021 l’export italiano del settore ha raggiunto la soglia record di 52 miliardi, grazie soprattutto al traino di alimentari e bevande (+11,6%), ma la performance è stata positiva anche per i prodotti agricoli (+8,8%). Oltre agli storici mercati tradizionali di punta come Germania e Stati Uniti, buone prospettive arrivano da geografie in crescita come Cina, Corea del Sud e, tra le novità, la Polonia.
Quanto all’anno in corso, si annuncia ancora di crescita, dopo che il primo trimestre ha fatto segnare un +19,5% rispetto allo stesso periodo del 2021,pur mostrando rischi al ribasso legati alle incognite del contesto internazionale e agli aumenti di prezzo delle materie prime agricole.

Il made in Italy che vince all’estero

Vino, olio d’oliva e pasta sono i prodotti italiani più venduti all’export. Insieme nel 2021 hanno coperto il 22,4% di tutto l’export agroalimentare nazionale per un ammontare di 11,7 miliardi di euro, vale a dire il 7% in più rispetto al 2020.
Lo studio di Sace segnala che nell’agroalimentare c’è una crescente attenzione alla sostenibilità: l’Europa si sta muovendo per accelerare la transizione verso un sistema alimentare sostenibile rendendolo equo, sano e rispettoso dell’ambiente. L’agricoltura 4.0 non è solo futuro, ma è anche già presente: macchinari agricoli connessi e blockchain rendono la filiera più efficiente, sostenibile, responsabile e trasparente.

Le imprese del settore dovranno, quindi, far fronte a cali di redditività e adottare soluzioni per divenire nel tempo meno vulnerabili a shock di mercato.

I fattori di preoccupazione

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha causato un deterioramento del mercato delle materie prime agricole, al quale si sommano condizioni meteo non favorevoli, rincari dei costi di fondamentali input produttivi per la filiera agroalimentare, come energia e fertilizzanti, e strozzature nella logistica. Russia e Ucraina, insieme, forniscono più del 30% dell’export mondiale di grano, circa il 20% di quelle di mais e l’80% di olio di girasole. L’esposizione italiana a tali beni è riferibile al 50% di olio di girasole, al 17% di mais e circa al 4% di grano.

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