Anche se sono riaperte gran parte delle attività commerciali (inclusi i locali e ristoranti), pur con tutti i protocolli di sicurezza e distanziamento previsti dal quadro normativo, i problemi legati alla rinegoziazione del contratto di locazione non passano in cavalleria, visto che le attività nel periodo immediatamente successivo al lockdown non stanno certamente producendo lo stesso fatturato che garantivano prima del disastro. E non è detto, purtroppo, che le cose si raddrizzino in autunno, visti anche gli annunci ventilati in questi giorni di prolungare lo stato di emergenza anche oltre il 31 luglio (probabilmente fino al 31 dicembre). Annunci, per ora.
Quindi proponiamo di seguito un approfondimento legislativo a cura dell'avvocato Roberto Simoni, che funge anche da sinossi e contestualizzazione del problema in chiave normativa e legislativa.
"Benché sia grave la situazione, il conduttore non ha il diritto di ridurre o sospendere autonomamente il pagamento dei canoni. Ipotizziamo il seguente scenario: un ristorante, che da anni conduce in locazione un immobile, adesso è sprovvisto di liquidità per pagare i canoni maturati nel periodo emergenziale, essendo rimasto chiuso in quell’arco di tempo. Inoltre, durante il blocco l’immobile era inutilizzabile per le finalità che avevano originato la locazione, ma ciò nonostante il proprietario non ha ridotto o concesso la sospensione del pagamento del canone, che nel frattempo è rimasto inadempiuto.
Quali rimedi possiede il conduttore? E cosa può fare il locatore?
Sull’argomento, ferma la normale applicazione delle regole dettate dal codice civile e dalla legge sulle locazioni, il Governo ha introdotto due norme giuridiche (art. 3, co. 6-bis del DL n. 6/2020, art. 91 del DL n. 18/2020) per affermare che il rispetto delle misure di contenimento è circostanza valutata ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, e quindi per risarcire i danni sofferti dalla controparte, oltreché per applicare penali e decadenze derivanti dai tardivi od omessi adempimenti. In questo modo, la situazione pandemica configura una causa di forza maggiore che, a certe condizioni, giustifica l’inadempimento (anche) civilistico e impedisce la responsabilità contrattuale del debitore. È, infatti, noto che la forza maggiore, per scusare un inadempimento e non far scattare conseguenze risarcitorie, deve concretizzarsi in un evento imprevisto e irresistibile non imputabile al debitore, il quale, suo malgrado, si trova costretto a comportarsi diversamente da quanto voluto. L’accadimento, pertanto, può incidere negativamente sulla possibilità del proprietario e del conduttore di adempiere le prestazioni contrattuali.
Nel nostro esempio, il ristoratore, moroso nel pagamento del canone, ha la chance di non subire aggravi economici se dimostra che l’attività rientra tra quelle sospese dal Governo e che la pandemia ha inciso negativamente sulla somministrazione di alimenti e bevande, nel senso di azzerare o ridurre gli incassi. A tal fine, per invocare la forza maggiore, il conduttore, avendo avviato la locazione in un periodo in cui non era prospettabile né immaginabile l’emergenza Covid-19, deve allegare i fatti comprovanti la perdita (quantomeno temporanea) delle risorse occorrenti per pagare i fornitori, compreso il locatore.
Strumenti a tutela del conduttore e del proprietario
Per interrompere definitivamente la locazione, indipendentemente dalle pattuizioni contrattuali, il conduttore, ai sensi dell’art. 27 della L. n. 392/1978, può recedere dal contratto mediante comunicazione spedita al locatore, nella quale evidenzia i “gravi motivi” consistenti nella verificazione di circostanze straordinarie e imprevedibili al momento della sottoscrizione della locazione, che hanno ostacolato la prosecuzione del rapporto obbligatorio. In questo caso, il recesso, quale atto unilaterale, produce effetti dopo sei mesi dal momento in cui il proprietario riceve il preavviso. Tuttavia, qui è controverso il pagamento dell’indennità di avviamento gravante sul locatore, il quale potrebbe, a ragion veduta, rifiutarlo per gli stessi motivi esposti dal conduttore nel recesso.
In alternativa, il conduttore può domandare la risoluzione giudiziale per eccessiva onerosità (art. 1467 cc) generata dalla chiusura dell’attività a seguito delle misure di contenimento. Inoltre, l’impossibilità di pagare il canone imputabile alla situazione pandemica può estinguere l’obbligazione gravante sul conduttore, considerata la natura oggettiva e inevitabile dell’evento sopravvenuto (art. 1256 cc).
Un’altra soluzione si ricava dall’art. 1644 cc, anch’esso dedicato ai contratti sinallagmatici (ai quali appartiene la locazione), per i quali l’impossibilità parziale della prestazione di una parte consente all’altra parte di chiedere la riduzione della propria obbligazione e, finanche, il recesso del contratto. In altre parole, le misure emergenziali, avendo comportato la chiusura temporanea di molte attività economiche, hanno reso impossibile al proprietario di assicurare il godimento dell’immobile e al conduttore di utilizzarlo, per cui quest’ultimo può domandare la riduzione dei canoni maturati nella fase emergenziale.
Il conduttore, per arginare provvisoriamente il grave disagio economico e fronteggiare il deficit di liquidità, può mantenere il godimento del bene chiedendo al locatore la riduzione del canone o la sospensione del pagamento. Ad ogni modo, per effetto dell’impossibilità transitoria di corrispondere il canone, il conduttore non è responsabile del ritardo, né a titolo risarcitorio né di interessi, almeno fino alla ripresa della somministrazione al pubblico autorizzata dal Governo lo scorso maggio.
Resta da dire che, dinanzi all’inadempimento del conduttore, il proprietario può proporre domanda giudiziale per recuperare i canoni scaduti e chiedere il risarcimento del danno, oppure per risolvere il rapporto a seguito del mancato pagamento del canone. In queste fattispecie, il conduttore, se non vuole risultare soccombente alle pretese del proprietario, deve allegare le circostanze comprovanti gli effetti causati dalla situazione emergenziale. Spetterà, comunque, al Giudice civile dirimere la lite basandosi sui fatti allegati da entrambe le parti, dai quali potrà persino ravvisare elementi per valutare la loro condotta alla luce del canone di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.
Nel descritto scenario, la variabile fiscale può condizionare la sorte delle locazioni e dei contrasti tra le parti.
Per prima cosa, l’eventuale accordo di riduzione del canone deve essere formalizzato per iscritto ai fini probatori e possibilmente registrato per scongiurare la demenza di maggiori imposte di registro e sui redditi che sarebbero maturate in base all’originario contratto. In questo caso, la registrazione è gratuita e può avvenire con modalità semplificate.
Il Governo ha, poi, introdotto delle misure per attenuare gli effetti economici negativi derivanti dalle misure di contenimento del Covid-19 che hanno determinato la riduzione degli incassi, nonostante la quale sono invece rimasti invariati i costi aziendali, primo fra tutti il canone di locazione.
Crediti d'imposta
A tal fine, sono state introdotte delle misure per attenuare i riflessi deteriori prodotti dalla pandemia anche sui rapporti di locazione, con particolare riguardo all’opportunità di cedere i crediti fiscali (totalmente o parzialmente) ai proprietari in conto pagamento del canone.
L’art. 65 del DL n. 18/2020, in caso di locazione dei negozi e delle botteghe (appartenenti alla categoria catastale C/1), riconosce alle imprese un credito d’imposta pari al 60% del canone di marzo 2020. Ciò significa che il conduttore riceve il 60% a titolo di contributo pubblico per corrispondere il canone di marzo, per cui a fronte del pagamento di mille euro gli è riconosciuto un credito fiscale di seicento euro spendibile in occasione del pagamento delle tasse e contributi previdenziali con il modello di pagamento unificato F24.
L’art. 28 del DL n. 34/2020 ha introdotto un ulteriore credito d’imposta pari al 60% dei canoni di locazione (e leasing) dei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 relativi agli immobili a uso non abitativo. La misura è estesa anche gli affitti d’azienda e i contratti di servizi comprensivi di almeno un immobile, anche se per questi ultimi il credito è ridotto nella misura del trenta percento. I beneficiari sono gli esercenti attività d’impresa, arte o professione con ricavi o compensi del 2019 non superiori a 5 milioni di euro (limite non applicabile agli alberghi, agriturismi, agenzie di viaggio e tour operator) che hanno riportato una perdita di fatturato di almeno il 50% in ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 rispetto ai corrispondenti periodi dell’anno 2019.
Proprio di recente il credito di imposta è stato concesso anche alle imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro, ma con un limite del 20% sugli affitti e del 10% sugli affitti di ramo d’azienda.
Il calo di fatturato deve essere verificato mese per mese, potendo spettare il credito anche soltanto per uno, due o tre mesi. È, inoltre, indispensabile che il canone dei citati periodi sia stato effettivamente pagato durante l’anno 2020.
Entrambi i bonus, che non sono cumulabili tra loro, possono essere sfruttati nei modi di seguito sintetizzati: a) utilizzo diretto dal parte del conduttore in “compensazione”, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997, con il modello di pagamento unificato F24; b) utilizzo diretto da parte del conduttore della “dichiarazione dei redditi” dell’anno 2020; c) cessione anche parziale, fino al 31.12.2021, al locatore o concedente e ad altri soggetti (incluse banche e intermediari finanziari), che a loro volta possono utilizzare il credito nella dichiarazione dei redditi del periodo in cui è avvenuta la cessione, oppure in compensazione ai sensi del citato art. 17.