di Cristina Lazzati
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Gli inglesi hanno lasciato l’Europa, almeno così hanno votato. Mentre scrivo la Brexit è fresca, ma le opinioni non si fanno attendere, la politica gioca la sua partita (come d’altra parte ha fatto in Uk); a destare preoccupazioni sono i fattori economici (un colpo duro per le borse che hanno aperto il primo giorno con valori tra il -8 e il -10) e le ripercussioni che tali andamenti potrebbero avere sul clima di fiducia (o sfiducia) dei consumatori europei e soprattutto italiani.
Un colpo duro per le borse, dunque, meno preoccupazione sembra, invece, destare nei mercati dell’export alimentare. Federalimentare ha, infatti, assicurato i suoi associati attraverso una nota del Presidente Scordamaglia: “Saranno gli Inglesi, sia produttori agricoli che consumatori, e non l’Italia a pagarne il prezzo maggiore”. Sta di fatto che il 9,8% delle esportazioni agroalimentari vanno in Uk, un mercato che è il quarto sbocco estero per importanza e il terzo per performance. Forse è il caso di pre-occuparsene.
Il lato positivo? Uscendo dall’Unione europea, la Gran Bretagna lascia sul banco una bella somma di aiuti allo sviluppo dell’agricoltura di cui ha beneficiato (con ottimi risultati) negli ultimi anni, somma che andrebbe agli altri Stati membri tra cui, ovviamente, anche l’Italia. Inoltre, questa uscita potrebbe velocizzare i tempi di firma del TTIP, per ora datato oltre le elezioni americane di novembre con qualche conseguente dubbio sulla sua effettiva realizzazione: voluto fortemente da Barack Obama, quale lascito a chiusura dei suoi due mandati, se andasse oltre le elezioni, troverebbe Hilary Clinton o Donald Trump, molto più tiepidi sul tema del predecessore. Ma la decisone dei britannici potrebbe velocizzare il processo (come affossarlo definitivamente, ndr) proprio sulla spinta anche emotiva dei mercati, in primis quello tedesco, dove la corrente contraria oggi potrebbe trovare, nelle presunte nuove barriere, la ragione di un ammorbidimento nei confronti degli americani. Inoltre, le dichiarazioni battagliere, di poche settimane fa, proprio del presidente americano in visita a Londra: “Se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’Ue si troverebbe fanalino di coda del trattato” potrebbero piacere agli, oggi, infuriati tedeschi. Se, invece, questo non dovesse succedere, il rischio per i nostri prodotti agroalimentari è evidente: da un lato, il sorgere di nuove barriere e, dall’altro, quello di non riuscire ad abbattere quelle vecchie.
L’invito, dunque, è di continuare ancora più determinati la strada verso il TTIP, ispirandosi al recente accordo chiuso con il Canada (CETA) il primo con un Paese di diritto anglosassone e, quindi, basato sul sistema del marchio d’impresa e non sulle denominazioni di origine e, da quanto ha dichiarato Scordamaglia, “ciò nonostante prevede una migliore tutela dei prodotti italiani DOP”, 41 le indicazioni geografiche italiane protette in una lista annessa all’’accordo, così come il divieto per alcuni prodotti alimentari di false evocazioni di italianità ingannevoli per il consumatore canadese. Come si dice, si chiude una porta ...