“La mia vita da droghiere”. Con questa definizione, improntata a un understatement quasi esagerato per uno che è fondatore, proprietario e presidente della prima catena di supermercati in Italia per fatturato (oltre 6,7 miliardi di euro nel 2012, e più di 373,5 milioni di margine operativo netto, dati Mediobanca), l’89enne Bernardo Caprotti sintetizza la sua vita a Franco Vanni che lo intervista per la Repubblica (18 settembre 2014).
L’intervista spazia su diversi temi, da quelli politici (“Renzi è intelligente ed è stato un buon sindaco…Mi piace quello che sta cercando di fare sul lavoro”) a quelli economici (“Per resuscitare la Pianura Padana e l’Italia bisogna investire nell’aeroporto di Montichiari nel Bresciano. È vicino ai maggiori distretti economici del Paese o a quello che ne resta”), per toccare le questioni più inerenti ai rapporti con i famigliari, con particolare accento sulla querelle che ha visto opporsi in tribunale il padre e i due figli maggiori: alla domanda “Lei è in attesa che la Cassazione si pronunci sulla contesa per la proprietà di Esselunga che la oppone ai suoi figli. Che rapporto ha con loro?” la risposta, secca, è “Non ho rapporti e non mi illudo di recuperarli a breve”.
L'abrasiva ironia di Caprotti viene fuori a proposito di Expo 2015 ("A noi nessuno ha detto nulla. Chi organizza l'esposizione è interessato a Eataly. Loro sono alla moda, noi siamo antichi: pretendiamo di vendere l'alta qualità insieme a prodotti di prezzo più economici rispetto a quelli del discount") e di Milano stessa ("Non mi sembra che in città succeda nulla di interessante").
Nell’intervista ricorda inoltre la “guerra contro le coop”, la lotta contro i sindacati, ma ha parole di stima per Pierluigi Bersani, ex ministro dell’industria, autore della prima liberalizzazione del commercio, l’amico Marco Brunelli (Finiper), e soprattutto i suoi più bravi e fidati collaboratori come Aldo Botta, direttore vendite, che lavora con Caprotti da 48 anni, e Giovanni Maggioni, vicepresidente in Esselunga dall’età di 18, e oggi ne ha 70. Eppure, nota il giornalista, di collaboratori ne ha cacciati tanti. Sì, risponde Caprotti, ma non quelli bravi.