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Lasciando parlare i dati, la bocciatura è netta. La distribuzione moderna italiana finisce in maglia nera nelle abitudini di pagamento in entrambi i benchmark che contano: sia nel confronto con la media nazionale - probabilmente lo schiaffo più sonoro - sia in quello internazionale, in qualche maniera più prevedibile. Difficilmente contestabile, infine, risulta pure il parallelo con l'altra faccia del commercio, dato che il dettaglio tradizionale si porta a casa una promozione piena.
Il punto della questione
Questo è in estrema sintesi quanto emerge dalle ultimissime analisi effettuate da Cribis D&B, società del gruppo Crif specializzata nella business information, e illustrate nel dettaglio a Mark Up da un team di ricercatori. I fatti si riferiscono a tutto dicembre 2011, con le anticipazioni di quanto avvenuto nel primo trimestre 2012, relativamente agli andamenti dei pagamenti delle aziende dei beni di largo consumo, con focus peculiare su grande distribuzione, distribuzione organizzata, commercio al dettaglio, all'ingrosso e canale Horeca. Non solo: l'osservazione comprende uno storico che copre il periodo 2007-2011 con i trend di spostamento delle classi di ritardo rispetto ai termini concordati. E per andare in profondità, la ricerca allarga lo sguardo all'Europa (11 Paesi) e a Stati Uniti, Cina, Canada.
Alla luce dello scenario emerso appare davvero poco sorprendente che anche l'Italia - come già la Francia - sia arrivata a un tentativo di regolamentazione governativa del problema, per quanto limitato (finora?) al solo ambito alimentare dell'assortimento, nella doppia versione dei limiti per legge a 30 giorni per i prodotti freschi e a 60 giorni per i secchi. Ai lettori forniamo in apertura la tabella che più delle altre sembra mettere il dito nella piaga. Quella che pare chiamare a gran voce l'intervento del legislatore. Quali segnalazioni ne derivano?
La prima, di natura sistemica. Non è connaturato al business del retail alimentare il dover essere costantemente in ritardo nei pagamenti rispetto ai termini concordati con i fornitori. I dati raccolti da Cribis indicano che tendenzialmente le catene della grande distribuzione sono bad boys: hanno cioè una propensione accentuata a cercare di non allinearsi alla media comportamentale del paese-mercato in cui agiscono. Ma la constatazione vera è un'altra: non è necessariamente così. Ci sono ambiti nazionali (non pochi) con un quadro differente: in Germania, Svizzera, Spagna, Austria, Ungheria le catene retail sono pagatori puntuali; nel Regno Unito lo scostamento è minimo.
Il contesto influisce poco: si va da mercati ad alta concentrazione di competitor (Austria, Svizzera, Regno Unito) a mercati frammentati e ricchi di insegne regionali (Germania) oppure con la presenza di stranieri (Spagna); ad alta aggressività commerciale per la presenza di discounter potenti oppure a sviluppo recente con dettaglio locale ancora forte (Ungheria). È semplicemente una questione di stile culturale. E laddove il pagamento ritardato viene sfruttato sistematicamente per favorire lo sviluppo di rete, si cerca in ogni caso di contenere il fenomeno entro limiti accettabili e sostenibili dal sistema.
La seconda considerazione riguarda, infatti, la dimensione del fenomeno. In nessun altro Paese i retailer alimentari locali presentano una distonia così rilevante nella puntualità dei pagamenti rispetto alla media degli altri pagatori del mercato. Per l'Italia il gap dal livello medio nazionale è il peggiore per consistenza: ben 24 punti. Detto in altro modo, nella classifica europea della puntualità di pagamento alla scadenza dei termini l'Italia si piazza al 4° posto; nella stessa classifica dei retailer quelli italiani sono tristemente all'ultimo posto. Penultimi i francesi, che infatti hanno costretto il Governo a varare una legge specifica. Curiosità: è la prestazione Retail che priva l'Italia del podio. L'Olanda (3ª) è distanziata di un solo punto percentuale; la puntualità delle catene fiamminghe è al 36%, nella penisola la stessa è merce rara (solo il 21,7%).
Foglia di fico
L'ultima considerazione concerne, invece, la foglia di fico: negli ultimi 5 anni le catene italiane sono migliorate, passando da un indicatore di puntualità del 16,6% a uno del 21,7%. Tale performance è avvenuta però agendo sulla leva della scadenza dei termini, più che su un cambio di efficienza e mentalità. Nella sostanza, la somma dei termini dilazionati più i giorni di ritardo ha avuto nello stesso quinquennio un certo peggioramento. Va infatti detto che se i dati assoluti bocciano senza smentite i protagonisti di Gd e Do sottolineandone il ritardo nell'efficacia di gestione e nella mentalità (atteggiamenti dolosi e colposi), tale situazione s'innesta (in maniera aggravante) su un panorama di termini contrattualistici che non è fra i migliori a livello europeo.
Anche in Italia comunque si può fare: lo sberleffo arriva del nord-est (che Cribis allarga all'Emilia Romagna). Qui la puntualità è doppia rispetto ai colleghi del resto d'Italia (40,8 vs 20,1). I retailer di quell'area si collocano così al 5° posto in Europa, più virtuosi dei vicini austriaci di cui imitano al meglio la cultura dominante. Chapeau.
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