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+ Riscontro di un numero (esiguo) di casi esaminati in linea con le impostazioni ottimali
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Vita organizzativa dell'azienda legata alla gestione delle complessità di evoluzione della clientela
Gli ultimi studi sul mercato di riferimento della grande distribuzione organizzata e associata indicano che i modelli di consumo si stanno velocemente evolvendo. Se da un lato confermano, per alcuni target, l'incremento dei consumi di tutto ciò che evoca benessere e attenzione al cibo salutistico, dall'altro dimostrano come il prezzo e il fattore promozionale permangono come fondamentali nelle scelte di acquisto. In ogni caso questa polarizzazione delinea il profilo di un consumatore poliedrico, poliglotta, difficilmente catalogabile in target e segmenti tradizionali, che premia i punti di vendita in grado di coglierne le contraddizioni e capaci di interpretarne i bisogni.
La complessità
La complessità invade non solo la dimensione della relazione con il mercato e il cliente, ma tutta la vita organizzativa della catena. Essa è determinata da tre fattori importanti: la velocità dei cambiamenti, le interdipendenze tra le differenti componenti del contesto e l'imprevedibilità dei cambiamenti. La sfida maggiore è certamente quella della comprensione dei bisogni del proprio mercato di riferimento, ma la modulazione, all'interno dei micro-mercati locali, non potrà essere realizzata che dall'ascolto e dall'osservazione attenta del cliente nel pdv.
Per questo l'obiettivo aziendale è quello di trattenere e fidelizzare i propri talenti interni, perché saranno loro a far crescere l'impresa e a mantenere quel sottile equilibrio tra i bisogni e le aspettative della clientela e il servizio erogato.
Il personale
Possiamo sinteticamente dire che oggi, per tutte le imprese, e a maggiore ragione per quelle che operano nel settore del retail alimentare, c'è la necessità di disporre di persone veloci nel comprendere i cambiamenti, in grado di sviluppare una lettura sistemica che permetta di vederne la ricaduta su tutti gli aspetti del business. Manager sufficientemente robusti, dal punto di vista professionale e psicologico, per gestire just in time quanto sta avvenendo, discretamente creativi per mettere in campo soluzioni inedite. Soggetti quindi che sappiano sviluppare un "modo d'essere" organizzativo tendenzialmente pro-attivo, che siano cioè in grado di far co-evolvere l'organizzazione, con l'ambiente che la circonda. Sicuramente avere a disposizione collaboratori che incorporino queste caratteristiche rende la vita organizzativa molto più agevole, soprattutto quando sono collocati ai diversi livelli del management (Top e middle).
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Nel mezzo
Ma cosa succede quando guardiamo al middle management? Quali sono le competenze di cui questi manager hanno bisogno per poter padroneggiare un ruolo sempre più magmatico e flessibile, che si dibatte tra aspettative organizzative di incorporare "intelligenza pro-attiva" anche ai livelli più bassi della gerarchia? Ma soprattutto, vi è consapevolezza da parte delle imprese delle reali competenze di cui hanno bisogno?
La realtà
l'attenta analisi delle prassi aziendali in atto e i focus realizzati con i dirigenti, hanno permesso di evidenziare che non esiste, se non in rarissimi casi, una reale consapevolezza delle competenze manageriali trasversali necessarie alle imprese per gestire le problematiche che i giorni nostri sollevano né vi è consapevolezza del substrato di conoscenze che dovrebbero sostenerle. Questo produce decisioni errate nelle proposte formative, nei percorsi di sviluppo/di carriera e nella scelta dell'uomo/donna giusto da mettere al posto giusto.
Il top management ragiona per grandi aggregati di competenze non riconducibili agli obiettivi di business. Spesso riporta il setting delle competenze ideali attribuibili ad una sorta di superman o super woman, che vorrebbero avere nell'organizzazione. Sopravvive, in molti casi, una inerzialità organizzativa che ha fatto sì che alle competenze necessarie in tempi stabili, si siano aggiunte quelle di oggi, senza effettuare una reale revisione che permettesse di stabilire delle priorità e, in ultima istanza, di definire il quadro delle competenze necessarie per realizzare gli obiettivi aziendali.
Il barometro
Soprattutto le competenze non vengono tradotte in comportamenti organizzativi, rimanendo così di difficile decodificazione sia per coloro che le devono comunicare (direzioni del personale), sia per coloro che le devono tradurre in atti (middle management e collaboratori). Spesso il costrutto delle competenze attese non è integrato da una sufficiente strutturazione organizzativa che permetta di metterle in pratica. È il caso emblematico della richiesta di pro-attività a cui spesso non corrisponde un adeguato livello di delega.
L'auto-percezione di sé all'interno del ruolo è un utile barometro di come le persone si sentono nel momento in cui devono gestire posizioni di middle management. Nelle riflessioni sul proprio ruolo il middle management è self confident nelle proprie capacità di controllare, orientare e orientarsi al risultato e al cliente, quelle competenze interconnesse con le capacità relazionali, che la maggior parte ritiene di possedere, se non in modo ottimale almeno discretamente. Sono invece consapevoli della propria carenza per quanto riguarda le competenze utili a governare la complessità dei giorni nostri. Sono proprio queste le competenze che chi gestisce il sistema spesso non vede o sottovaluta, oppure non è in grado di integrarle in un modello di valutazione che le prenda adeguatamente in considerazione.
I focus group hanno messo inoltre in rilievo che le competenze cognitive (o metodologiche) sono sconosciute ai più, in molti casi nessuno ne ha mai parlato apertamente, è in ogni caso è sconosciuta la modalità con cui i superiori le possono valutare o trasmettere.■
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