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1. La crisi impatta anche sui rapporti distribuzione-industria
2. In Francia il downpricing non ha innescato la crescia
3. Rallentano gli store brand in Italia
Gli accadimenti negativi di un decennio, due anni di crisi pesante e uno - il 2010 - di lieve ripresa, dopo aver inciso in modo determinante su tutte le componenti dell’economia, non potevano non intaccare anche i fondamenti della distribuzione moderna che governano le relazioni con i consumatori e con l’industria. Fra questi ne citiamo alcuni che fanno pensare, più che all’avvicendarsi di fasi di segno diverso all’interno di un ciclo economico, a una modifica strutturale degli assetti della distribuzione che potrebbero determinare l’avvio di nuove tendenze.
Price positioning
Nel 2010, in Francia, i consumi hanno segnato una significativa ripresa, trainati dai player del mercato, accomunati dal fatto di aver aumentato i prezzi, (vale a dire i prodotti di marca e super e iper), mentre quelli che li hanno diminuiti hanno subito una flessione. In questa tendenza, che vedrebbe smentito il teorema prezzi bassi uguale a più vendite, sono rimasti coinvolti i prodotti di primo prezzo e i prodotti a marchio della distribuzione la cui penetrazione si è contratta dopo mezzo secolo di incrementi della loro quota.
Come è noto, il loro peso in Francia è il doppio di quello della distribuzione italiana e rappresentano per alcune insegne - per esempio Casinò o Intermarchè - i capisaldi della loro politica commerciale.
Frenata imprevista
In Italia le marche del distributore (store brand), dopo l’exploit del 2007-2008, che sembrava dovesse consentirci un recupero nella classifica europea del settore, hanno rallentato di molto la loro crescita e l’incremento registrato di recente è molto contenuto.
A perimetro invariato, negli ultimi tre anni l’80% dei gruppi non sono riusciti a realizzare le stesse vendite in valore dell’anno precedente e quindi, hanno conseguito volumi inferiori. È difficile prevedere se questo fenomeno lascerà tracce sui loro bilanci, perché sono soprattutto i gruppi associati a essere coinvolti. E per questi gruppi i problemi economici si riversano sulle gestioni degli associati che hanno una loro flessibilità connaturata; viceversa sono importanti i riflessi nei rapporti con l’industria tramite le centrali che non hanno gli strumenti (né rientra nelle loro finalità) per razionalizzare gli assortimenti (meno referenze, meno fornitori) e rivitalizzare i fatturati dei fornitori strategici.
Equilibri pericolanti
Questo è uno dei segnali del disagio crescente all’interno delle centrali di acquisto la cui origine, però, è più complessa e più lontana. Le centrali e il numero dei loro aderenti hanno subito, sin dalla loro creazione, continui ribaltoni, ma la novità principale sembra essere rappresentata dalla incrinatura della collaborazione fra catene succursaliste e associate. La presenze delle due tipologie di impresa all’interno delle centrali aveva creato forti sinergie fra la copertura del territorio apportata dalle insegne associate e la continuità della catena di comando delle imprese succursaliste. L’equilibrio fra le due componenti è sempre stato, però, instabile per la differenza dei volumi di fatturato e soprattutto per la diversa difficoltà a mantenere gli impegni presi con l’industria. Nel momento in cui il calo dei consumi e il deprezzamento del valore medio delle vendite riducono i fatturati in valore, oltre che in quantità, la diversa capacità di offrire contropartite crea tensioni sulla ripartizione delle risorse ottenute e la loro capacità di dare risposte alla crisi pone in discussione la stessa ragione d’essere delle centrali “miste”. È stata la loro forza a consentire quella rendita di posizione, che si chiama “secondo margine”, di cui ha beneficiato tutta la distribuzione, ma non certo i consumatori che si sono rivalsi deprimendo il mix dei prezzi dei prodotti acquistati. Se il secondo margine appare sempre più un ostacolo nell’ottimizzazione del rapporto prezzo/qualità, leva strategica per la distribuzione, l’aver gonfiato, attraverso il lucroso strumento del listing, gli assortimenti con troppi prodotti, ne ha ridotto, nel complesso, l’efficienza in termini di vendite e rotazione. Se le spaccature in atto dovessero radicalizzarsi, mettendo in difficoltà ulteriore le centrali “miste”, si verificherebbe un’inversione nella corsa, che sembrava inarrestabile fino a ieri, al distribution power, a vantaggio dell’industria di marca e a danno di una parte consistente della distribuzione, quasi tutta appartenente al commercio associato.
Allegati
- 198-MKUP-Fatelli
- di Danilo Fatelli / aprile 2011