1. Acque finanziarie più calme, ma non ci sono più i naviganti
2. Per qualsiasi timoniere la rotta sarà sostanzialmente identica
In questo numero avrei voluto sviluppare il seguente tema: l’eccezionale recessione economica ha impedito al governo di fare quanto si riprometteva di fare ma adesso, in acque finanziarie sostanzialmente molto più calme, non ci sono più scuse o tempi per rinvii (rispetto all’azione di riforma fiscale, per esempio). Mi è impossibile farlo, perché finito di scrivere il pezzo uscito su MARK UP di ottobre 2010, in cui sostenevo l’urgenza di porre al centro dell’agenda politica i temi economici, è diventato chiaro che, crisi o non crisi, il supporto genuinamente politico a qualsiasi azione di governo non c’è più. Quindi punto e a capo. E il capo è esattamente un tasso di crescita della nostra economia inferiore a quelli registrati a metà 2007, cioè prima di entrare in crisi.
Che decidere?
La questione sconfortante del rapporto tra economia e politica è che quest’ultima non si esprime in alcuna direzione rispetto alla prima e, pertanto, la questione stessa è indecidibile. Meglio una crisi e una nuova maggioranza oppure un governo tecnico oppure, ancora, l’attuale esecutivo con una compagine di sostegno marginalmente differente? Impossibile dare una risposta se non del tipo: una soluzione vale l’altra, dal punto di vista delle imprese e dei lavoratori. Infatti, non siamo in presenza di una coalizione di opposizione con un chiaro programma alternativo: per esempio, rivolto a sviluppare spesa pubblica per investimenti in deficit, tali da peggiorare nel breve i conti pubblici ma da imprimere un impulso al sistema. Personalmente non gradisco i programmi di stampo pseudo-keynesiano, ma almeno, in ipotesi, si capirebbe che tipo di innovazione di politica economica sarebbe lecito attendersi da un cambio di maggioranza. L’opzione governo tecnico? Per fare cosa? Probabilmente per gestire la quotidianità in termini di coerenza dei conti pubblici rispetto alle indicazioni europee ma, si converrà, per fare questo c’è già l’ottima amministrazione finanziaria del professor Tremonti. Oppure, infine, tenere questo governo con una maggioranza allargata/modificata? Sarebbero - governo e maggioranza - più deboli degli attuali, sotto il profilo programmatico, e quindi non susciterebbero aspettative positive in termini di possibili accelerazioni endogene del tasso di sviluppo del paese.
Il federalismo
Chi più chi meno, e ciascuno con sensibilità e accenti diversi, tutti hanno puntato sul federalismo, del quale la dimensione fiscale è il pilastro su cui l’intero impianto poggia. La legge delega ha posto un termine per l’adozione, da parte del governo, dei decreti legislativi attuativi della riforma: questo termine scade nel maggio del 2011, come ricorda il direttore generale della Banca d’Italia nella sua testimonianza alle commissioni di camera e senato all’inizio dell’ottobre scorso. Ora, mentre sono stati fatti passi importanti con il decreto sul federalismo demaniale e con il recentissimo decreto sulla determinazione dei costi standard sanitari e sull’autonomia impositiva, restano ancora da definirsi materie fondamentali come i sistemi di perequazione, dei regimi sanzionatori e di premialità per gli amministratori locali nonchè i fabbisogni in altri settori decentrati. Su tali questioni è necessaria un’accelerazione dei lavori.
Non posso né voglio credere che gli sforzi fatti vadano perduti per l’eventuale inazione dovuta a rimpasti governativi.
Scenari di futuro prossimo
- Qualunque cosa accada lo scenario politico ed economico resterà fragile per diverso tempo. Qualsiasi governo dovrà, da una parte, mantenere ferma la rotta sull’equilibrio dei conti pubblici e dovrà, dall’altra, almeno completare la riforma federalista emanando i provvedimenti per rendere operativo il decentramento fiscale. Questa a me pare la più probabile eventualità di minima azione politica per i prossimi 18-24 mesi.
- C’è unanimità sul fatto che il federalismo fiscale non potrà comportare oneri aggiuntivi per le tasche dei cittadini. Anzi, a regime, dovrà contribuire a un sostanziale contenimento dei costi dei servizi pubblici e della rappresentanza politica. È una carta su cui dobbiamo puntare. Visto che dovunque c’è stata recessione salvo che nel campo della spesa pubblica corrente: i consumi pubblici di beni e servizi intermedi (dalle consulenze alla cancelleria) sono cresciuti del 10,8% tra il 2007 e il 2009, i redditi dei dipendenti dello stato e delle altre amministrazioni del 7,2%, il totale delle spese correnti al netto degli interessi del 9,2%. È una situazione semplicemente insostenibile. Il circuito più spesa, più debito e, quindi, più tasse, va interrotto. Con qualsiasi governo.