Il testimonial non basta più? Semplice, moltiplichiamolo

Esperti – Il moltiplicarsi di personaggi più o meno illustri maschera una cronica povertà di idee. (Da MARK UP 192)

1. Le coppie di testimonial sono una tendenza ormai decisamente
in atto

2. Il meccanismo attore principale/spalla favorisce le sceneggiature.
O serve a compensare
la povertà di idee?

Curioso che la lingua italiana non si sia mai peritata di trovare un corrispondente per il termine “testimonial”. In fondo noi italiani siamo tra i maggiori fruitori di questa semplice, indubbiamente efficace, leva di comunicazione. Da vera panacea, il testimonial sembra capace di risolvere qualsiasi problema di comunicazione, nel nostro paese. Là dove un’infinita teoria di presentazioni sta procurando solo mugugni da parte dei clienti e scene isteriche in agenzia, basta sfogliare una copia di “Chi” e puntare il dito su un personaggio per dissipare istantaneamente ogni malessere o tensione nei vari reparti. La proposta “testimonial” produce un immediato sollievo dentro alle teste indolenzite (o indolenti?) dei creativi; distende ulteriormente le pieghe cerebrali dei planner; getta una bordata di adrenalina sulle ghiandole surrenali degli account; eccita sessualmente i Tv producer. Ma soprattutto riesce spesso ad allentare il rigore mascellare dei clienti più arcigni.
“Perché non usiamo Caio?”. Oppure “Perché non usiamo Tizia?”. In questa semplice domanda risiede da decenni l’hocus pocus della comunicazione pubblicitaria italiana. E infatti bisogna convenire che l’artificio ha spesso funzionato.
Se però buttiamo un occhio più attento ai più recenti break televisivi, ci rendiamo subito conto che oggi il testimonial - notare bene il singolare - comincia a mostrare la corda.
Cosa? Sparisce il testimonial? Si torna a credere nelle idee vere? Si può di nuovo sperare che le aziende invece di arricchire star già ricoperte d’oro, si concentrino con più attenzione sul proprio patrimonio di marca?
Nulla di tutto questo. A soppiantare il testimonial, ecco che arrivano i testimonials (notare l’uso del plurale, con buona pace per i puristi della lingua italiana).

Presenze variegate
Lasciamo per un attimo da parte Bonolis e Laurentis che si condividono il paradiso da diversi anni, e quindi non sono un fenomeno recente. Lasciamo da parte anche Fiorello e Mike Bongiorno, il quale il paradiso l’ha raggiunto per davvero. Proviamo invece a concentrarci sulle seguenti coppie stellari: Michelle Hunzicker con John Travolta (Alice), Christian De Sica con Belen Rodriguez (Tim), Antonella Clerici insieme a Enrico Montesano (Gran Soleil), Francesco Totti e Ilary Blasi (Vodafone), Alessia Marcuzzi e Geppi Cucciari (Danone), Valentino Rossi e Paolo Cevoli (Fastweb), Raul Bova e Teresa Mannino (3 Italia). La prima cosa che viene da chiedersi è se questo sia per caso un effetto della crisi in corso. Con due possibili e contrastanti interpretazioni: a) le aziende hanno bisogno di maggiore visibilità e quindi sono disposte a spendere il doppio; b) le star si sono adeguate al momento e hanno deciso di dimezzarsi il cachet. Comunque sia, è evidente che ci troviamo di fronte a un curioso fenomeno, per il quale se oggi un’azienda si presenta in Tv con un testimonial single viene quanto meno additata come pezzente. Soprattutto se comparata con parti (creativi) non più gemellari, ma addirittura trigemini come quello di Aldo, Giovanni e Giacomo, testimonial di Wind fino a una campagna fa. Per non parlare della nuova edizione di Vodafone che per l’occasione riunisce le Iene al completo con Ilary Blasi, Luca e Paolo. Oppure allo spot multi-testimonial di Edison, che infila nell’ordine Enrico Fabris, Francesca Piccinini, Pietro Aradori, Martín Castrogiovanni, per poi chiudere con Gerry Scotti, unico non atleta della compagine. Sempre a proposito di atleti, ancora meglio ha fatto Nike, che nella sua ultima e debordante boutade istituzionale è riuscita a dispiegare nell’ordine: Didier Drogba, Fabio Cannavaro, Bobby Solo, Franck Ribery, Ronaldinho, Cristiano Ronaldo, Gael Garcia Bernal, i Simpson e Ronaldo. Ancora due, e facevano una squadra di calcio mista di calciatori, attori, cantanti e cartoni. “Scrivi il futuro”, dice il claim in chiusura di spot. Difficile scrivere il futuro, quantomai se riguarda il nostro calcio, ma quello della pubblicità sembra decisamente segnato: più infarcisci uno spot di testimonial, maggiori sono la visibilità e l’efficacia che pensi di garantirti.
Inevitabile, a questo punto, che imbattendoci nello spot Coop venga da chiederci: “Ma che cosa ci fa la Littizzetto sola soletta in quel supermercato?”
Sì, povera Luciana. Tutta sola, proprio come un gambo di sedano. Non ci sarebbe da stupirsi se, un giorno di questi, andasse a sbattere il suo carrello contro l’ottimo Fabio Fazio.

Due è meglio di uno
Si è sempre detto che il testimonial è una specie di sostanza dopante. Una volta che si comincia a utilizzarlo, non se ne può più fare a meno. L’attuale tendenza di dispiegare coppie di testimonial, o addirittura frotte intere di personaggi celebri, può essere vista come infausta espressione di questa dipendenza: quando una dose non basta più, ecco che la si raddoppia. Un meccanismo che per evidenti motivi porterà un giorno a un punto di rottura. Intanto, il desiderio di impatto e la necessità di risparmio delle aziende si coniugano con recenti tendenze televisive. Ed ecco che nelle campagne si vedono spuntare gli ex-famosi, come Bobby Solo nello spot Nike. Grandi nomi (probabilmente) a prezzi in saldo.

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