Stessa storia, stesso posto, stesso gap: donne e lavoro nei nuovi dati Inps

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In Italia le donne sono meno occupate, meno pagate e meno ai vertici ma...più istruite e più dedite alla cura di casa e famiglia. Il rendiconto Inps

Stessa storia, stesso posto, stesso gap: le donne in Italia continuano a lavorare meno, ad avere occupazioni meno stabili, a guadagnare meno, ma ad essere più istruite. Un'istruzione che a quanto pare, pur non essendo più quella delle scuole per forgiare brave mogli e mamme, porta più o meno allo stesso risultato: diventare angeli del focolare dedite alla cura della casa e della famiglia, ma magari con la doppia incombenza di un impiego - rigorosamente pagato meno della controparte maschile.
Questo articolo lo stiamo scrivendo nel 2025 con dati Inps freschi freschi, proprio mentre le aziende affrontano paradossalmente un crescente problema di mismatching tra domanda e offerta lavorativa, che la componente femminile della società potrebbe ampiamente mitigare. Anzi, secondo un'indagine Lhh oggi oltre la metà delle aziende (54%) non ha proprio iniziative dedicate a diversità e inclusione (che non riguardano, ovviamente, solo le donne).

I numeri del gender gap lavorativo in Italia

Secondo il nuovo Rendiconto di genere Inps, divulgato a inizio anno, nel 2023, il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 52,5%, rispetto al 70,4% degli uomini, evidenziando un divario di genere significativo pari al 17,9 punti percentuali. Inoltre, le assunzioni femminili hanno rappresentato solo il 42,3% del totale. Anche l’instabilità occupazionale coinvolge soprattutto il genere femminile in quanto solo il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato a fronte del 22,6% degli uomini. Le lavoratrici con un contratto a tempo parziale sono il 64,4% del totale e anche il part-time involontario è prevalentemente femminile, rappresentando il 15,6% degli occupati, rispetto al 5,1% dei maschi.
Il gap retributivo di genere rimane un aspetto critico, con le donne che percepiscono stipendi inferiori di oltre venti punti percentuali rispetto agli uomini. In particolare, fra i principali settori economici, la differenza è pari al 20% nelle attività manifatturiere, 23,7% nel commercio, 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione, 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese. Guardando invece ai vertici, solo il 21,1% dei dirigenti è donna, mentre tra i quadri il genere femminile rappresenta il 32,4%.
Per quanto riguarda il livello di istruzione, nel 2023 le donne hanno superato gli uomini sia tra i diplomati (52,6%) sia tra i laureati (59,9%), ma questo migliore livello di studi non si traduce in una successiva maggiore presenza nelle posizioni apicali.
Le donne continuano anche a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Nel 2023, le giornate di congedo parentale utilizzate dalle donne sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni degli uomini. L'offerta di asili nido rimane insufficiente, con solo l'Umbria, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta che raggiungono o si avvicinano all'obiettivo dei 45 posti nido per 100 bambini 0-2 anni.
Per quanto concerne le prestazioni pensionistiche, sebbene le donne siano numericamente superiori tra i beneficiari di pensioni, essendo 7,9 milioni le pensionate rispetto ai 7,3 milioni di pensionati, permangono significative differenze negli importi erogati. Nel lavoro dipendente privato gli importi medi delle pensioni di anzianità/anticipate e di invalidità per le donne sono rispettivamente del 25,5% e del 32% inferiori rispetto a quelli degli uomini, mentre nel caso delle pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 44,1%. Questi dati sono il riflesso di una condizione di svantaggio che le donne hanno nel mercato del lavoro. Le donne prevalgono numericamente nelle prestazioni pensionistiche di vecchiaia e ai superstiti. Il numero limitato delle donne che beneficiano della pensione di anzianità/anticipata (solo il 27% fra i lavoratori dipendenti privati e il 24,5% fra i lavoratori autonomi) evidenzia le difficoltà delle donne a raggiungere gli alti requisiti contributivi previsti, a causa della discontinuità che caratterizza il loro percorso lavorativo.
Secondo Roberto Ghiselli, presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, “affrontare il problema delle discriminazioni di genere significa agire su tutte le dimensioni del problema, che riguardano il mercato del lavoro e i modelli organizzativi nel lavoro, la rete dei servizi, la dimensione familiare e quella culturale. Viene pertanto chiamata in causa la responsabilità e l’impegno di tutti gli attori istituzionali, politici e associativi per far sì che i timidi passi avanti che si sono registrati in questi anni, diventino al più presto l’affermazione di una piena condizione di parità, rimuovendo gli ostacolo che ne sono di impedimento”.

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