Chi troppa (performance) vuole nulla stringe, o per lo meno ottiene meno di quanto potrebbe. Stiamo parlando degli investimenti pubblicitari, che secondo una nuova analisi di Warc garantiscono il miglior ritorno quando non sono sbilanciati sul performance marketing, ma equamente mescolati a una focalizzazione sul branding. Parliamo, idealmente, di un 40%-60% del budget allocato su questo secondo fronte (mai meno del 30%).
Algoritmi, innovazioni tecnologiche e imprese native, ma anche un panorama incerto e frammentato, avrebbero invece spinto negli ultimi anni i professionisti a sovra-investire sul fronte della performance, diminuendone progressivamente l'efficacia. Secondo lo studio, infatti, questo approccio riduce il ritorno sull'investimento di una media del 40%, mentre quello che dà giusto spazio al branding migliora il Roi da un 25% a un 100%, con l'incremento medio che si attesta al 90%.
La costruzione dell'equity, tra l'altro, risulta avere un effetto significativo non solo nel lungo termine, ma in parte anche nel breve, perché agisce positivamente sulle persone che non sono ancora pronte a fare acquisti, aumentando le probabilità che considerino il relativo brand quando arriva il momento della spesa.
Uno degli ostacoli principali all'adozione del miglior approccio è il pensiero compartimentato, che vede branding e performance come attività separate. La loro integrazione, invece, sblocca un effetto moltiplicatore, che dimostra come "i maggiori ritorni arrivino quando i marketer vedono l'equity del brand come un acceleratore della performance commerciale", sottolinea David Tiltman, chief content officer di Warc. Quando si pianifica la campagna, dunque, l'ideale è "andare in profondità", integrando tutti gli asset creativi in una piattaforma, con rinforzo reciproco.
Troppa pubblicità a performance: c’è più ritorno con il 40-60% sul branding
I sovra-investimenti nella pubblicità a performance riducono il ritorno sull'investimento, meglio un'equa suddivisione con il branding secondo le analisi Warc