Si scrive «innovazione», si legge «più leadership femminile»

Il mancato apporto delle donne al mercato del lavoro italiano, non solo ai vertici, è un danno economico. Il punto con l'Associazione Donne del Retail

No, le donne non «sono ormai ovunque» e sì, c'è ancora bisogno di parlare di parità di genere. Al di là di un certo percepito erroneo fondato sul cosiddetto bias di generalizzazione (quello che ci porta a desumere che il nostro contesto e la nostra esperienza abbiano valenza universale), i dati confermano che l'Italia è ancora un Paese molto arretrato su questo fronte e non sta migliorando.
Secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum il nostro Paese già nel 2023 era 79° su 146 nazioni confrontate, ma nel 2024 è sceso addirittura in 87° posizione per parità di genere nelle quattro dimensioni indagate, ovvero: partecipazione economica e opportunità, livello d’istruzione, salute e sopravvivenza, emancipazione politica.
Nel 2023 in Italia lavorava poco più di 1 donna su 2, tra quelle che potrebbero farlo, e il 49% di queste aveva un impiego part-time. Un gap che influisce negativamente sul nostro sviluppo economico e che se fosse invece portato in linea con la media Ue, ovvero a un +14% di partecipazione femminile al mercato del lavoro, consentirebbe al Pil un balzo del 7%.
Questo il perimetro di confronto al convegno "Innovazione e leadership" organizzato a Milano dall'Associazione Donne del Retail, nata nel 2023 proprio allo scopo di promuovere la valorizzazione della componente femminile in un settore ancora a presidio maschile, non tanto "alle casse e nei negozi", quanto ai tavoli dove si prendono le decisioni e si definisce lo sviluppo del comparto. A moderarlo nella cornice della Triennale la direttrice di Mark Up Cristina Lazzati, parte del consiglio direttivo dell'Associazione insieme ad altre 6 donne ai vertici del mondo gdo.

Meno lavoro di cura, più lavoro retribuito. Meno supporto pubblico all'uscita dal mercato del lavoro, più sostegni per restarci.

Gdo e retail, come definito dai dati, sono però solo l'emblema di una più ampia arretratezza italiana, culturale in primis, che affonda le proprie radici in "un'economia maschile fin dalle sue origini teoriche" e che ancora oggi poggia sullo sbilanciamento dei carichi di cura familiare tra uomo e donna. Parliamo di 6 ore giornaliere di lavoro di cura non retribuito per le donne e di poco più di un'ora per gli uomini, come evidenziato dall'economista femminista Azzurra Rinaldi durante l'incontro. Un maggiore impegno legato alla cura della casa, della prole e di familiari bisognosi (il caso forse più attuale, quest'ultimo, in una società che invecchia). Un vero e proprio "elefante nella stanza" che si associa a tutta una serie di altri fenomeni paralleli o a cascata, come l'assenza di emancipazione economica da parte delle donne (tema centrale anche nella violenza di genere). Basti pensare che in Italia il 42% delle donne non ha un conto bancario individuale, un numero peraltro in peggioramento. "Sarebbe bellissimo se, tanto per cominciare, le aziende quando assumono una donna la invitassero, qualora non già esistente, ad aprire un suo conto corrente personale per l’accredito dello stipendio", esemplifica Rinaldi, che aggiunge: "Siamo un Paese che spende tantissimi soldi pubblici per sostenere l'uscita delle donne dal mercato del lavoro, anziché per aiutarle a restarci dentro o ad entrarci".

Ma il cielo è sempre più rosa: casi virtuosi, una minoranza allargata che può cambiare le cose

Eppure, nonostante il quadro poco roseo, o meglio poco rosa, qualcosa si muove, non solo a livello di dibattito pubblico e di partecipazione femminile allo stesso, ma a livello di best pratice ed esempi virtuosi. Lo dimostrano le azioni e le politiche messe in campo da diverse aziende e raccontate durante la relativa tavola rotonda da Francesca Lai, DE&I manager di Carrefour Italia, Barbara Gabrielli, presidente di FG Gallerie Spa e direttrice comunicazione Magazzini Gabrielli, Lucia Arlunno, hr director di Aldi, Grégoire Kaufman, general manager di Crai Secom e Daniela Rosati, chief creative officer di Kasanova. Recente, ad esempio, il sostegno economico di Crai Secom a tutte le risorse della sede che vorranno iscriversi all'Associazione Donne del Retail, o l'iniziativa Punti Viola di Carrefour, che fa il paio con tanti altri progetti di diversity e inclusione nel mondo retail, così come contro la violenza di genere.
"Siamo spesso affascinati da storie che raccontano di imprese importanti con un uomo o una donna soli al comando. Sono invece fortemente convinta che i grandi cambiamenti che vogliamo apportare nel retail, così come nella società, necessitino di storie condivise, di parole che si moltiplichino, di relazioni che si rafforzino, di reti: autorevoli, preparate e spesso resilienti. Essere insieme, fare rete, ampliare le conoscenze, arricchirsi e confrontarsi su situazioni che pensavamo potessero essere individuali e invece in un modo o nell’altro hanno attraversato le vite di tante noi. Poco più di un anno fa non esistevamo, oggi non solo ci siamo ma mentre facciamo un rumore difficile da ignorare, ampliamo conoscenze, acquisiamo consapevolezza di dove siamo e di dove vogliamo arrivare, creiamo percorsi condivisi che generano valore. Tutto questo lo facciamo insieme (e non potrebbe essere diversamente.)", sottolinea Dominga Fragassi, professionista in ambito comunicazione retail, parte del comitato direttivo dell'Associazione Donne del Retail.
E se è vero che i grandi cambiamenti partono sempre da una minoranza allargata, il cielo sarà sempre più rosa. 

 

 

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