Possiamo ancora perderci? La rivincita dei non-luoghi

La travel industry ha saputo instaurare una connessione emotiva per rispondere ai bisogni dei viaggiatori. Un esempio da seguire

Che tu stia prendendo un caffè al bar sotto casa o partecipando a una piacevole cena tra amici, la temuta domanda arriverà puntuale. Il corrispettivo estivo del “Cosa fai a Capodanno?” è “Dove vai in vacanza quest’anno?”. E mentre ascolti con interesse i programmi degli altri, ti ricordi perché anche tu non vedi l’ora che arrivi l’estate: per prenderti una pausa e, forse, anche per scoprire e conoscere qualcosa di nuovo. Quelli che potrebbero sembrare desideri semplici sono, purtroppo, sempre più difficili da soddisfare. La travel industry se n’è accorta e ha accettato la sfida in un contesto in cui il modo di vivere il viaggio sta cambiando moltissimo.

Il turismo ha distrutto i luoghi?

Qualche mese fa, le autorità di Fujikawaguchiko, in Giappone, hanno fatto costruire una barriera sul piazzale di un supermercato per impedire di fatto la vista del monte Fuji. Le orde di turisti armati di macchine fotografiche e telefonini da anni minavano la tranquillità del luogo e dei suoi abitanti. Una risposta drastica al problema dell’overtourism, che conosciamo bene anche in Italia. La maggior parte dei turisti segue itinerari prestabiliti e poco importa che vengano proposti da un’agenzia, dall’Ai o da qualche influencer sui social; il risultato è il medesimo. Ci si ritrova tutti negli stessi luoghi a fare le stesse foto finché qualcuno non costruisce una barriera. “Viaggiamo per sperimentare un cambiamento, ma finiamo per imporre cambiamenti agli altri” spiega Agnes Callard sul New Yorker nel suo “The case against travel”.

I nuovi luoghi del viaggio

Se un luogo è costretto a modificarsi e a perdere parte della sua identità, può essere ancora definito tale? Può ancora stupire il viaggiatore (e non il turista) in cerca di qualcosa da scoprire? È dell’antropologo Marc Augé la definizione di non-luogo, che classifica i luoghi anonimi, di passaggio, privi di interazioni sociali, posti più o meno uguali che si trovano in tutte le città del mondo. Augé cita aeroporti, stazioni, centri commerciali ecc. È interessante osservare il quasi totale ribaltamento della prospettiva: i luoghi che visitiamo stanno perdendo la loro vera identità e quindi il loro status di luogo, mentre i non-luoghi hanno deciso di raccontarsi, di costruirsi un’identità, di offrire esperienze, diventando i veri protagonisti del viaggio.

Identità in transito

Prendiamo, per esempio, gli aeroporti, spesso considerati come la parte peggiore di un viaggio. Code interminabili, stress, ansie e bagagli smarriti. Per qualche motivo, però, ne restiamo sempre affascinati. Il tabellone con i voli in partenza fa sognare possibili destinazioni. Tante vite possibili a portata di mano e le centinaia di persone che abbiamo intorno rappresentano quelle vite, quelle emozioni. Dopo aver vissuto una settimana all’aeroporto di Heathrow, lo scrittore Alain de Botton afferma: “Se mi avessero chiesto di portare un marziano a visitare un luogo che racchiudesse efficacemente tutto lo spettro dei temi che percorrono la nostra civiltà, mi sarei senz’altro diretto verso gli atri delle partenze e degli arrivi”. L’aeroporto è un luogo profondamente umano che prende la sua identità dalle infinite alterità che lo attraversano. Un recente caso di rebranding che ha compreso questo cambio di prospettiva è quello di Aeroporti di Roma. Con la sua nuova identity e il suo nuovo payoff “Together, beyond flying” include i valori dell’empatia, proponendo di esserci sempre, per un’esperienza che va oltre il business del volo. Sottolinea, inoltre, l’impegno per una costante innovazione capace di valorizzare tutte le persone che si trovano a passare o a lavorare nell’aeroporto. Una visione che ha reso l’hub una vera città nella città, riuscendo a coniugare gli aspetti funzionali del viaggio con un’esperienza più coinvolgente fatta di arte, spazi retail, food e robot che girano tra i gate.

Connessione emotiva

Se un cosiddetto non-luogo riesce a tramettere e a far vivere emozioni mettendo in contatto la più vasta e disparata umanità, non si merita la definizione di luogo? Non può diventare una tappa fondamentale del viaggio visto che riesce a farci sognare? Quest’evoluzione empatica è supportata anche da dati concreti: ben il 72% dei passeggeri ha dichiarato di provare un senso di eccitazione quando si trova in aeroporto (Iata, 2023). Uno stato emotivo esaltato che, in alcuni casi, può portare fino all’altare. Si stima, infatti, che 1 persona su 50 trovi la propria anima gemella in aeroporto o in aereo (Hsbc, 2018). Anche quest’ultimo è da considerarsi, secondo Augé, un non-luogo, ma le compagnie aeree hanno deciso di ribaltare completamente questa teoria.

Tra le nuvole

I marketing manager delle aviation company sanno che instaurare una connessione emotiva è la chiave per rispondere ai bisogni dei viaggiatori. Due casi interessanti riguardano le ultime campagne di Lufthansa e British Airways. Nella prima “Every story starts with a yes”, un voiceover ci porta dentro la vita di ogni passeggero per cercare di rispondere alla domanda: “Qual è la sua storia?”, mostrando quante emozioni, sogni e legami possano nascere, convivere e intrecciarsi all’interno di una cabina. British Airways, invece, sceglie un solo soggetto: una bambina appena nata al suo primo volo, che chiude gli occhi e sogna il suo futuro. Un futuro fatto di esperienze, viaggi, vita che si conclude con: “Everywhere we go makes us everything we are”. Queste campagne segnano l’evoluzione della narrativa del viaggio che vede gli ex non-luoghi protagonisti. Perché se è vero che, nonostante l’overtourism, i viaggi ricoprono ancora un ruolo fondamentale nella definizione di noi stessi, l’aereo diventa il posto migliore per farlo. Questo segna una trasformazione del ruolo dell’aereo che da “semplice” mezzo per spostarsi si consacra come luogo dei sogni e di vita.

Perdersi per emozionarsi

Una direzione che, non solo nella travel industry, ci sta portando verso racconti di marca vicini ed empatici che cercano di comprendere e rispondere alle tante incertezze del viaggiatore/passeggero/consumatore moderno. Incertezze che, nel nostro caso, vengono lasciate in sospeso quando siamo tra le nuvole. L’assenza di riferimenti dei non-luoghi ci apre a infinite possibilità, ci permette di staccare veramente, di sentirci persi in un momento in cui perdersi sembra impossibile. Perché viaggiare è perdersi ed è lì che ha senso, che è vero, che arricchisce. Quando ci apriamo a nuove emozioni, quando lasciamo un piccolo spazio in valigia perché “Chissà, magari trovo qualcosa”. Non era per questo che avevamo deciso di partire?

(*) strategist FutureBrand

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