Plant-based in flessione? Copi il modello delle auto elettriche

plant based bcg
La forte riduzione di C02 garantita dalle proteine vegetali la chiave per ottenere un sostegno pubblico come ha avuto l’automotive green, secondo uno studio di Boston Consulting Group

Il settore plant-based dovrebbe prendere a modello quello dei veicoli elettrici che ha puntato sui benefici nel risparmio delle emissioni di gas serra, in modo da ottenere anche sovvenzioni pubbliche per crescere. Il suggerimento arriva da un nuovo originale studio (What the Alternative Protein Industry Can Learn from EV Companies) di Boston Consulting Group (BCG), in collaborazione con The Good Food Institute (Gfi) e Synthesis Capital.

Con metà del mercato globale delle proteine a base vegetale si risparmierebbero 5 gigatoni di CO2e all'anno

I due pilastri principali a supporto delle proteine vegetali sono l’impatto sulla salute e quello legato all’ambiente. Ma puntare sul solo effetto healthy non è la migliore scelta. Come si sa, il cuore del Green Deal è la riduzione della CO2. E l’asticella è stata ambiziosamente alzata da Ursula Von der Leyen, rieletta alla presidenza della Commissione, che ha indicato l’obiettivo di tagliare le emissioni del 90% entro il 2040, per trovarsi a buon punto con il Net Zero nel 2050.

Ora, nonostante il grande favore che sospinge il plant-based, trendy e healthy, negli ultimi 5 anni il consumo di carne a base vegetale nel retail statunitense, cartina di tornasole delle nuove tendenze, è arrivato solo intorno all'1% delle vendite totali di carne. Ecco allora che la ricerca di Bsg cambia la prospettiva: se metà del mercato globale delle proteine, inclusi i latticini, fosse a base vegetale, potremmo ridurre di quasi un terzo le emissioni di gas serra derivanti dall'agricoltura e dall'uso del suolo entro il 2050. Un risparmio di 5 gigatoni di CO2e all'anno, l’equivalente di togliere dalla strada la metà delle auto a benzina.

L’auto elettrica ha beneficiato di 40 miliardi di dollari in sovvenzioni solo nel 2022, il plant-based 635 milioni

La via da seguire per raggiungere l’obiettivo, indica lo studio, è quella perseguita dall’industria dell’auto elettrica. Questa ha ottenuto a livello globale circa 40 miliardi di dollari in sovvenzioni solo nel 2022, dato che stride con i soli 635 milioni di dollari del settore plant-based, che ha raccolto un ottavo del capitale privato dell'industria dei veicoli elettrici dal 2017 al 2023.  Risultato: mentre l'industria dei veicoli elettrici è cresciuta dallo 0,2% di vendite di auto totali nel 2012 al 18% nel 2023, la quota di mercato delle proteine vegetali è rimasta relativamente una nicchia.

“Potrà suonare bizzarro, ma chi ha a cuore le proteine vegetali potrebbe prendere spunto da quanto hanno già fatto gli addetti ai lavori nel campo dei veicoli elettrici” ha sottolineato Antonio Faraldi, managing director e partner di Bcg. Cercare il supporto del settore pubblico (più europeo che nazionale onde evitare l’accusa di violazione delle regole di concorrenza), spendendo bene la carta della riduzione delle emissioni di CO2 nel sistema alimentare, è una delle chiavi per far crescere il settore. Naturalmente occorre incrementare gli investimenti anche privati e continuare a innovare, puntando su R&D per sviluppare prodotti competitivi su gusto e prezzo con le proteine animali (e, verrebbe anche da aggiungere, facendo attenzione a un’etichetta sempre più clean).

Uno sguardo all’Italia: no a prodotti elitari

Guardando al nostro Paese, la crescita del plant-based (soprattutto latticini che rappresentano circa i due terzi del mercato globale delle proteine vegetali, oltre alla carne, mentre pesce e uova sono ancora agli inizi) continua ma in maniera più rallentata: nel 2022-23 il tasso è stato del 5-10% in Italia, mentre tra il 2019-21 aveva registrato un aumento del 10-20% a seconda dei comparti. Un trend che ha accomunato molti Paesi europei e gli stessi Usa. E che trova nell’inflazione una delle principali cause. Il dato positivo è che migliorano sapori, consistenze e i prodotti sono sempre più accessibili nei punti di vendita e concorrenziali nel prezzo. Quello del prezzo è uno dei punti nodali anche per lo sviluppo di lungo periodo. Lo studio ammonisce che occorre da una parte proseguire a investire in innovazione sulla direttrice del gusto, con prodotti “appaganti come o più dei ‘tradizionali’” ma anche su quella dei costi perché diventino effettivamente “prodotti di largo consumo e non per élite di alto-spendenti”.

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