L’economia al tempo della permacrisi #Linkontro

Una guida per orientarsi al tempo della permacrisi: da Linkontro le indicazioni di Tito Boeri e Michael Spence

Pandemia, Ucraina, Gaza. Nel mezzo, l’inflazione e le tensioni commerciali tra Usa e Cina. Il mondo delle continue crisi pare essere la nuova normalità. Su questo, gli scenari che usciranno dalle elezioni europee prima e americane poi, a Linkontro hanno discusso Tito Boeri e Michael Spence, economisti di fama, premio nobel per l’economia nel 2001 con Joseph Stiglitz. “Viviamo in un mondo con tantissimi shock di dimensione globale -comincia Boeri-. Molti di questi sono originati fuori dall'Europa: per prevenirli serve un ripensamento a livello europeo dal punto di vista della sicurezza. Un'impresa ha dei rischi isolati e può proteggersi, magari utilizzando strumenti finanziari ma un Paese non può agire analogamente di fronte a shock di tale portata. L'Europa si è integrata dal punto di vista economico ma ha fatto poca dal punto di vista della protezione dai rischi esterni. Io credo che la prossima legislatura del Parlamento europeo dovrà adottare un atteggiamento molto più attento a questo tipo di rischi”. “È vero che viviamo nel mezzo di diversi shock -gli fa eco Spence-. C’è un succedersi di shock, e questo fa parte della permacrisi, ma non credo sia esaustivo parlarne in questa maniera”.

Trasformare la crisi in opportunità

Si può infatti trasformare la crisi in un’opportunità: “Dovremo accrescere la nostra capacità di rispondere alle difficoltà -continua il premio nobel-. D’altronde, se vivi per molto tempo in un mondo in crisi, ti abitui a credere che quella che ti circonda sia la realtà. Dobbiamo ripensare al nostro modello economico: la gente pensa che una volta conclusa la lotta all’inflazione i tassi torneranno al livello in cui erano prima della pandemia. Ma com’è possibile? C’erano aree in cui erano negativi, senza che ci fosse inflazione. Come sarebbe possibile ora?! Non è così e se ce ne convincessimo, ci renderemmo che il mondo è cambiato”. Come sarà allora in Europa il mercato che verrà? “Ci sarà il bisogno di sapersi muovere in un mercato sempre più digitalizzato -dice Boeri-, che però rimarrà soggetto a forme di protezione, chiaramente. Le aziende dovranno pensare non soltanto al loro rischio individuale ma cercare anche di anticipare le scelte a livello europeo”.

La prossima crisi? Occhio al clima

Serve vigilare insomma contro fenomeni esterni non sempre facilmente controllabili: “La guerra in Ucraina e in Medio Oriente, non hanno avuto un effetto dirompente sull'economia globale. Il prossimo shock potrebbe venire dal mare. Non mi riferisco solo alla crisi del Canale di Suez. Ci sono rischi elevati sia nel Golfo di Aden che nel Canale di Panama, dove, nel secondo caso il problema non è di natura militare o geopolitica ma è ambientale: la siccità potrebbe effettivamente causare dei costi rilevanti”. L’ambiente è una preoccupazione pure per Spence: “Dieci anni fa avreste immaginato di svegliarvi e scoprire che un terzo del Pakistan era sconvolto dalle inondazioni?!”. Comunque, “non dobbiamo risolvere tutti i problemi qui e ora -tranquillizza Spence, - ma ci sono piccoli passi che possiamo prendere nella giusta direzione. Non dobbiamo arrenderci. Non dobbiamo illuderci che si possa tornare al sistema che in essere nel [secondo] dopoguerra, semplicemente perché non funzionerebbe nell’ambiente di oggi”. Un punto potrebbe esser cercare di limitare le frizioni internazionali, non del tutto ma solo sui temi essenziali: “Abbiamo delle legittime preoccupazioni dal punto di vista della sicurezza nazionale -spiega Spence-, ma quello che mi chiedono i miei amici cinesi è ‘ma perché avete dazi sui giocattoli? Un giocattolo è una questione importante dal punto di vista della sicurezza nazionale? Io dico no. Loro mi dicono ‘allora perché farli? Perché semplicemente non toglierli?’. Io gli rispondo che è perché se fai qualsiasi cosa di buono nei confronti della Cina oggi nella politica americana, questa è la cosa peggiore che puoi fare. Questa è l’unica cosa su cui l’America è d’accordo”.

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