I brand medio/piccoli sono forse quelli più esposti agli effetti del digitale, ma non per forza in negativo. Il bilancio tra rischi/opportunità del digitale è sicuramente soggetto ad un’amplificazione maggiore in entrambi i casi, ma -quando ciò è in positivo - le risultanti che ne derivano sono interessanti.
Perché ciò avvenga è importante che i piccoli brand (small brand) si focalizzino sui canali che enfatizzano il valore, l’immagine, il percepito valoriale. Quindi, potenziare strumenti molto emozionali come, ad esempio, blog/social media/influencer, potrebbe risultare un approccio strategico più impattante, rispetto ad investire su aspetti più asettici (seppur importanti!) come la search, che però non deve far declassare i tool sopraccitati. Tenendo, comunque, presente che la mancanza di competenze specialistiche, fornitori di fiducia e strumentazione digitale sono tutti potenziali red flag delle piccole-medie imprese (PMI) con cui scontrarsi e convivere, quello a cui si sta assistendo – complice anche l’attuale momento storico modellato sull’esperienza di una pandemia – sta di fatto incoraggiando e premiando il binomio piccoli brand-digitale. E i numeri ed evidenze di studi dedicati confermano quest’accoppiata. Dall'Osservatorio Digital FMCG (Fast-moving consumer goods, beni di consumo a rotazione rapida) di Netcomm, in collaborazione con NielsenIQ, emerge che, nel largo consumo, il digitale compensa le perdite del retail fisico e apre opportunità per i piccoli brand.
Secondo l’Osservatorio, le opportunità per i brand emergenti sono molteplici, a patto di interiorizzare tre parole chiave dell’eCommerce FMCG: convenience (risparmio di tempo), healthy food e personalizzazione. Infatti, il consumatore tipo digitale è giovane, medio-alto spendente (lo scontrino medio online è di €42), attento ad alcune caratteristiche specifiche dei prodotti come l’Italianità e i “free from” (riferito a prodotti biologici o per intolleranze alimentari). In sostanza, questi prodotti, come anche quelli premium - ossia con un prezzo almeno il 50% più alto della media della categoria -, trovano nell’eCommerce un canale elettivo. Lo dimostra anche il fatto che nel 2021 il peso dei prodotti con caratteristiche distintive di questo tipo sia stato più alto nell'online che nel mondo fisico. Uno fra tutti, il Bio, che pesa il 6,7% nell’online, mentre solo il 3,6% nell’offline. Lo studio mette, inoltre, in luce come i piccoli brand trovino più spazio nello scaffale digitale, che funge da vetrina per i prodotti, ma anche per gli stessi brand. A conferma di ciò, il peso degli small brand è più alto online che offline: 29% contro 19% nel comparto della drogheria alimentare; 30% contro 20% nella categoria delle bevande. Inoltre, mentre per le categorie Food&Beverage c’è ampio margine di crescita delle vendite online, per quelle storicamente più digitali, come Personal Care e Pet Care, l’eCommerce risulta essere il canale di vendita chiave, che i player devono assolutamente presidiare.
In quanto fin ora delineato, il profilo del consumatore che emerge è quello di una persona che si trova sempre più a suo agio nella dimensione digitale ed è più sofisticato e attento (i già citati prodotti bio e quelli legati al territorio italiano ne sono un esempio). Accogliere le richieste di questo tipo di consumatori, facendo di pari passo crescere i business di piccole dimensioni è non solo possibile, ma rientra proprio nella mission di soddisfare quanto il mercato chiede. E il marketing può farsi portavoce di queste necessità. A tal proposito, il guru del marketing Seth Godin, nel suo libro “Questo è il marketing” (2019) parla di marketing come “un’opportunità di servire”. Il soggetto del servizio è una specifica target audience, ovvero l’insieme più o meno articolato di utenti/clienti effettivi e potenziali che un’azienda ambisce a fidelizzare/far diventare clienti. Al posto del marketing utilitaristico di massa, un marketing efficace deve oggi basarsi su empatia, servizio, e personalizzazione. Sempre Seth Godin, nello stesso saggio, fa riferimento ad un concetto di marketing molto potente che è quello di Marketing Viable Audience (MVA), ovvero il più piccolo pubblico possibile a cui un’azienda può rivolgersi. Si tratta, in pratica, di essere “significativi” per un pubblico ben delimitato, piuttosto che per la massa. Ciò rappresenta un elemento chiave che un piccolo brand deve tenere a mente per crescere in maniera sostenibile: identificare la propria nicchia/target di valore, investire in maniera strategica e graduale in base alle disponibilità economiche su hardware & sofware ad hoc, e, soprattutto, secondo i consigli di Godin nel testo sopraccitato, capire come il proprio ruolo sia «portare le persone da uno stato emotivo all’altro […] attraverso un percorso» che soddisfi le loro necessità, aiutandole un a fare in modo, lato brand, che «il cuore e l’anima di un’impresa fiorente sia l’irrazionale ricerca di diventare irresistibile».
Ci sono tutti i presupposti perché ciò possa avvenire, anche allargando lo sguardo alla situazione generale. Sempre sulla base dei dati dell’Osservatorio Netcomm-NielsenIQ, dopo lo straordinario boom del 2020 (+146%), nel 2021 l’eCommerce nella GDO registra un’ulteriore crescita del 23,5%, raggiungendo €1,8 miliardi di vendite totali, equivalente al 2,5% del volume d’affari dell’intero settore FMCG. Gli altri canali (offline), invece, pagano il boom del 2020, registrando percentuali di crescita più basse o persino negative. In questo senso, la spinta dell’online compensa lo stallo delle vendite dei negozi fisici, generando un incremento dello 0,4% delle vendite complessive della GDO. Inoltre, scomponendo la crescita totale del settore Grocery sui diversi comparti merceologici, è evidente come l’eCommerce aiuti non solo il trend a totale, ma le performance di tutti i comparti.“È chiaro che il consumatore digitale si stia evolvendo e che un’esperienza basica non sia più soddisfacente”, commenta Roberto Liscia, presidente di Netcomm. “Il consumatore è alla ricerca di efficienza, ma anche di un’esperienza sempre più personalizzata, semplice e intuitiva. Il phygital parte proprio dall’esperienza del cliente: il digitale si affianca al fisico e assume un ruolo chiave durante tutte le fasi del percorso d’acquisto, dalla raccolta di informazioni e dalla comparazione di prezzi, prodotti e servizi, al supporto post-vendita e all’attività di recensione. Per il 75% degli intervistati, Internet è la fonte principale per cercare informazioni su prodotti e servizi, per il 69% per scoprire nuove marche. Dal lato del venditore, questo si traduce nella necessità di porre l’attenzione su alcuni aspetti come descrizioni dettagliate, suggerimenti e offerte personalizzati, un’interfaccia agevole, pagamenti sicuri, puntualità nella consegna e nel ritiro della merce, ma anche un’attenzione sempre più marcata agli aspetti di sostenibilità. In sintesi, nel contesto FMCG il digitale è in primis uno strumento imprescindibile di marketing”. [...] “Il fatto che l’eCommerce sia destinato a consolidarsi nel tempo anche per i beni di largo consumo - tanto che prevediamo una crescita tra il +10 e il +15% nel 2022 - e non solo a essere una risorsa durante i periodi di restrizione, sta generando una rivoluzione all’interno di tutte le filiere del largo consumo. Dalle imprese produttrici agli intermediari fino ad arrivare alle aziende distributrici tutte le realtà si troveranno a dover necessariamente rivedere il loro modo di far impresa e le loro relazioni lungo la filiera, mettendo in discussione le attuali logiche produttive, commerciali e di operation. Le imprese più attente stanno già ragionando su progetti di innovazione che coniughino le nuove richieste della domanda con un rinnovato modo di erogare l’offerta, facendo leva sulle tecnologie più promettenti. Nuove logiche di produzione, nuovi flussi di dati e nuovi territori competitivi saranno le parole chiave per le imprese FMCG dei prossimi anni”, conclude Roberto Liscia.