Far fare all’utente -in maniera quasi sempre totalmente implicita cose che consapevolmente non vorrebbe fare, come certi tipi di acquisti o la registrazione a qualche tipo di attività/servizio, fornendo i propri dati personali sul web e via app. A questo servono i dark pattern, letteralmente “modelli/percorsi oscuri", ovvero meccanismi che sfruttano bias cognitivi, riflessi pavloviani e altre tipologie di risposte pressoché automatiche che l’essere umano mette in atto, quando non si sente esposto in prima linea ad attività che non dovrebbero essere pericolose, e che, in teoria, gli permetterebbero una sorta di “pilota automatico” di azioni e reazioni, in risparmio d’energia. Sono un elemento dell’interfaccia grafica che fa ritrovare l’utente, ad esempio, iscritto a newsletter non desiderate, impossibilitato a disiscriversi da un determinato sito/servizio in abbonamento, o ad aver consentito alla raccolta ed utilizzo di determinati dati personali (e gli esempi potrebbero essere tanti altri). Questo avviene grazie a soluzioni di design e scelte di marketing ingannevoli, da cui derivano azioni apparente innocue come il posizionamento furbo di pulsanti, caselle di spunta, menù a discesa, domande ambigue, testi cubitali e rassicuranti in fase d’acquisto e, al contrario, minuscoli e allarmanti in caso di restituzione. Dietro il fenomeno dei dark pattern c’è, comunque, qualcosa di tutt’altro che nuovo, ma che il digitale ha reso più sottile da cogliere, più pervasivo in termini di scala e più efficace in quanto a tecniche. Infatti, in entrambi i contesti, tradizionali e online, bisogna stare ben attenti a dove si trovi il confine preciso tra persuasione e manipolazione, e quale condotta sia abbastanza fuorviante da sfociare nell’illegalità.
Falsa gerarchia
A questo proposito, è interessante citare uno studio tra i più completi in tema dark pattern fino ad oggi redatti pubblicato nel 2019 da Jamie Luguri e Lior Jacob Strahilevitz, due ricercatori dell’università di Chicago. Tra i vari aspetti evidenziati dallo studio, emerge proprio come la “manipulation by design” e “by marketing” abbia esempi eclatanti nel corso della storia fino ai giorni nostri. Una delle tecniche maggiormente utilizzate è quella della cosiddetta “false hierarchy”, falsa gerarchia, che, dando risalto visivo ad un’opzione intenzionalmente deliberata a priori, è da considerare tra gli approcci di dark UX (o, come viene chiamato in modo irriverente su Reddit, di “asshole design”) più diffusi (ad esempio nel caso di pricing model, ma non solo). Quello della false hierarchy, tuttavia, è oggi uno dei dark pattern meno sottili e presumibilmente più benigni in cui si può incorrere. Esistono, infatti, tutta una serie di dark pattern che la letteratura scientifica in materia sta via via classificando.
Alcuni esempi
Lo stesso Harry Brignull, user experience designer britannico a cui si deve nel 2010 l’espressione dark pattern, ha cominciato a raccogliere tutti i dark patterns su darkpatterns.org a scopo divulgativo, prevedendo pure all’interno del sito una “Hall of Shame” collegata ad un account Twitter in cui vengono condivisi molti dark patterns. Nell’elenco presente sul sito darkpatterns.org vengono elencati dodici tipi di dark pattern usati ripetutamente da numerosi siti internet, e tra questi è possibile citarne due dalla denominazione piuttosto colorita: Roach Motel (letteralmente 72 settembre | 2021
“motel per blatte/scarafaggi”, detta anche “tramaglio” con un riferimento alla pesca) -il dark pattern in questione “imprigiona” l’utente in una situazione in cui è molto facile entrare, ma difficilissimo uscire; Privacy Zuckering -il nome s’ispira a Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, e attraverso questo dark pattern s’induce l’utenza a condividere pubblicamente più informazioni personali di quanto si desideri davvero, spesso sotto la falsa promessa di un’esperienza d’uso migliorata. In termini generali, è possibile poi identificare i dark pattern per contrasto con quelli che, invece, sono i dieci principi generali per il design “positivo” stilati da Jakob Nielsen (Visibilità dello stato del sistema, Corrispondenza tra sistema e mondo reale, Controllo e libertà dell’utente, Standard coerenti, Prevenzione degli errori, Riconoscimento anziché richiamo, Flessibilità ed efficienza d’uso, Design estetico e minimalista, Aiuti all’utenza per riconoscere, diagnosticare e correggere gli errori, Guida e documentazione).
La protezione dei dati
Da quanto fin ora descritto, dovrebbe trasparire l’enorme diffusione dei dark pattern nella vita digitale di ognuno, tanto che in lingua inglese è stato persino coniato un verbo apposito, “to be dark patterned”. Vi è, però, un aspetto fondamentale in tutto questo discorso che è stato solo velatamente toccato ed è quello legale e della protezione dei dati personali, tramite il corpus legislativo in vigore. Si è fatto precedentemente riferimento all’espressione manipulation by design, il cui contraltare è però privacy by design che si pone in contrasto all’attitudine a manipolare gli utenti, sia per un fattore etico, sia perché non in linea con i principi e le norme previste dal Gdpr. Da ciò, emerge come non tutti i dark pattern siano illegali (ed è bene tenerlo a mente!), ma in Europa grazie al Gdpr è possibile individuare e qualificare alcuni dark pattern come non compliant. Citabili tra quest’ultimi vi sono, ad esempio, l’utilizzo di impostazioni di default invadenti per la privacy, l’occultamento e/o difficile reperimento di opzioni più privacy friendly e la predisposizione di percorsi eccessivamente complessi per l’utente per poter intervenire sul trattamento dei propri dati, così come recedere determinati servizi (sul sito darkpatterns.org viene riportato l’esempio di quanto sia difficile cancellare un account Amazon).
Legal design
La questione dark pattern, ricompresa in relazione a quel che invece è il legal design, interessa le aziende oggi più che mai. Molto spesso le stesse aziende hanno poca contezza di attuare azioni (eticamente) opinabili, perché imbevute in mantra e strategie di marketing messe in pratica troppo poco acriticamente. Partendo dal presupposto che il principio di buona fede è quello che guida l’agire di ognuno, interrogarsi sulle proprie tecniche e porsi con trasparenza nei confronti dei propri clienti è la chiave per ottenere il così agognato vantaggio competitivo. Oggi, la fiducia e la credibilità sono forse gli asset di punta per qualsiasi business, e di fronte a utenti sempre più consapevoli e decisi su cosa vogliono. Vale la pena ricordare che questa coscienza lato consumatori è e resterà un trend in crescita, tanto che ad esempio iniziative come la Dark Pattern Tip Line, uno sportello di raccolta segnalazioni lanciato in America da un gruppo di associazioni, non resteranno un esempio isolato.