“D al 1974 ad oggi abbiamo subìto sei recessioni. Se dovessimo fare una media aritmetica, che però non ha alcun valore scientifico, possiamo ipotizzare una settima recessione intorno al 2020/2021”. Andrea Boltho, emeritus fellow al Magdalen College di Oxford, traccia un quadro sull’Italia nell’Europa post Brexit a Linkontro Nielsen 2018.
I motivi scatenanti di una possibile recessione? Una Brexit acrimoniosa, una stretta sui tassi, una nuova crisi finanziaria, Trump perde la testa: quattro ipotesi. Tutte realizzabili? A parere di Boltho l’ultima sarebbe la più plausibile.
“Sulla Brexit i Paesi stanno negoziando furiosamente” sottolinea evidenziando l’incertezza sull’esito finale dei negoziati. Le ipotesi possibili sono varie: una Brexit morbida con appartenenza all’unione doganale? Una Brexit dura con un lungo periodo di transizione? Una Brexit veramente dura senza alcun accordo commerciale? “L’Ocse è arrivata a conclusioni non proprio favorevoli: nello scenario più pessimista il livello del Pil nel 2030 potrebbe essere amputato del 7,7%.
Il Governo inglese, qualche settimana fa, ha stimato la perdita a 8% ma a orizzonte 2032. Quale che sia l’esito -spiega Boltho- la maggioranza degli studi fatti concludono che il costo macroeconomico per il Regno Unito non sarà enorme. La crescita tra il 2018 e il 2030 potrebbe essere ridotta dallo 0,3% allo 0,7% all’anno. Per il resto dell’Unione Europea, gli effetti negativi sarebbero molto contenuti a eccezione dell’Irlanda”.
Quali scenari allora immaginare? “La crescita in Europa c’è, ma è fragile. Shock esterni potrebbero farla deragliare. Il quadro italiano è ancora meno favorevole. Ai problemi di sempre tra cui debito pubblico, burocrazia, infrastrutture, giustizia, Mezzogiorno, si aggiunge il problema di un incerto governo populista. L’incertezza deprime la fiducia, l’incompetenza porta a soluzioni sbagliate, l’inerzia frena le riforme” conclude. C’è da essere ottimisti? Pare proprio di no.