La digitalizzazione della “shopping experience” (intesa come l’utilizzo delle tecnologie digitali, in primis il “mobile”, anche nelle fasi che precedono l’acquisto stesso del bene) è il trend di consumo più forte e che sta forzando le aziende di marca a ripensare anche radicalmente alle loro strategie. Alcuni dati fotografano il momento: nel 2015 le vendite eCommerce B2C nel settore Food & Personal Care sono state pari a 89 miliardi di dollari (solo l’8,8% del eCommerce B2C globale), ma si stima che più che raddoppieranno nel corso dei prossimi 5 anni (quasi 220 miliardi di dollari nel 2020), con un tasso di crescita annuale medio del 16%, superiore ad ogni altra categoria di spesa. Ci sono paesi che rappresentano già delle best practice nel settore, quali Corea del Sud e Regno Unito: la percentuale di internet user ad aver acquistato prodotti alimentari confezionati online è pari al 51% per il primo e al 37% per il secondo.
E l’Italia? Le percentuali di chi compra food online sono ancora basse (al di sotto del 10%) ma i dati sono destinati a crescere consistentemente, soprattutto se vi saranno sostanziali evoluzioni nell’offerta. Si pensi al ruolo che sta avendo Amazon e l’impatto che il servizio Amazon Fresh avrà sul retail grocery: ad esempio in Germania Amazon detiene oggi una market share del 4% ma si stima che raddoppierà entro il 2021, diventando difatti il secondo più grande retailer del mercato. I retailer tradizionali hanno avuto fino a qualche anno fa un approccio prudenziale sia al canale eCommerce (vedendolo quasi come un rischio cannibalizzazione) sia alla digitalizzazione della customer experience presso il punto vendita (si pensi a tutte le opportunità di offerte real time e personalizzate facendo leva sulla tecnologia beacon). In Italia il canale e-food è ancora poco sviluppato con l’eccezione di Esselunga, ma anche in questo caso la situazione è in continua evoluzione.E per le aziende produttrici? Le nuove tecnologie digitali rappresentano una incredibile opportunità di interagire direttamente con il consumatore finale, ma anche una concreta minaccia se non sapranno integrare tali tecnologie digitali nei loro modelli di business. Anche perché la competizione si sta allargando a nuovi player come gli internet specialist che adottano un modello di vendita “pure online” (come ad esempio Mymuesly e Naturabox). La “disruption” è pertanto prossima. Ma da dove cominciare?
Quattro aree di disruption stanno portando profondi cambiamenti nel largo consumo. Roland Berger ha condotto uno studio sui i nuovi modelli di business digitali che si affermeranno nei prossimi anni. Lo ha fatto andando a selezione le top 100 più promettenti startup Fast Mover Consumer Goods in tutto il mondo, che ridifineranno pertanto le abitudini consumo dei prossimi anni. Da tale ricerca sono emerse 4 principali aree di disruption che stanno già influenzando, e lo saranno sempre di più, il futuro delle aziende di produzione di beni di largo consumo.
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