L’apporto del settore dei centri commerciali è senza dubbio centrale per lo sviluppo di un retail moderno e competitivo che sappia interpretare le esigenze del consumatore. Mark Up ha incontrato Carmen Chieregato, Ad e presidente di Cogest Retail, uno dei player leader in Italia nella commercializzazione e gestione di centri commerciali e complessi polivalenti.
Una prima domanda di carattere generale. Qual è lo stato di salute dell’industria dei centri commerciali in Italia?
Buono, in generale. L’indicatore più vistoso dello stato di salute del settore lo troviamo nello sviluppo di nuovi progetti: ce ne sono diversi e importanti in pipe-line, alcuni in avanzata fase di realizzazione. Non è solo questione di numeri, quello che si nota è la varietà dei format e delle location: gallerie a cielo aperto, outlet di città, riqualificazioni e ampliamenti di centri tradizionali… Non solo, direi che gli errori del passato hanno prodotto un effetto benefico, in quanto hanno ribadito l’esigenza imprescindibile degli studi preliminari. E non mi riferisco solo all’analisi della location, del bacino, del contesto competitivo, che sono scontati, ma alla proiezione nel medio-lungo termine del potenziale commerciale, dei trend di consumo e dei comportamenti di acquisto. Quanto più si riesce, sin dalle primissime fasi, a condividere un progetto con tutte le parti in causa (investitori, promotore, commercializzatore, gestore e futuri tenant), moltiplicando i punti di vista e le conoscenze, tanto maggiore è la possibilità di successo dell’operazione. In Italia si sta affermando una nuova cultura dei centri commerciali, e anche questo è segno di vitalità.
In termini di progetti, cosa prevede il vostro piano di crescita e come è stato modulato negli ultimi tre anni?
In primo luogo tengo a ricordare che il futuro e la crescita sono l’esito di un percorso iniziato 22 anni fa quando il mercato e i consumatori erano totalmente diversi. Da allora Cogest ha continuato a crescere, ad aggiornare e perfezionare strumenti e procedure per assicurare ai propri clienti i migliori risultati possibili, in tutte le fasi di sviluppo, commercializzazione e gestione di un centro commerciale. Abbiamo accompagnato l’evoluzione del mercato, spesso anticipandone le esigenze. Abbiamo avuto il coraggio di esplorare nuove opportunità di business, specializzandoci per esempio in format “esordienti” (primi a realizzare centri a tema shopping+leisure, a inserire gallerie commerciali in contesti ospedalieri, etc). Abbiamo continuato a investire su noi stessi, in risorse, formazione, tecnologie, anche e soprattutto in questi ultimi tre anni. Oggi, forti di una solidità finanziaria che ci permette di affrontare con serenità anche le prossime sfide, ci proponiamo come un partner strategico per operatori che vogliano incrementare il valore dei propri asset commerciali. Il futuro prossimo, ne siamo convinti, continuerà a portare in Italia nuovi investitori internazionali, che vengono per restare. La competitività per società di consulenza come la nostra si giocherà sulla trasparenza, l’affidabilità e la conoscenza del territorio.
Attualmente avete in portafoglio 51 centri commerciali, tra complessi in commercializzazione e in gestione. Quanto tale dimensione è elemento attrattivo per i retailer internazionali?
In maniera determinante quando la strategia di presidio riguarda tutta l’Italia e l’espansione in centri commerciali diversi per dimensione e vocazione. Inoltre si deve considerare che i retailer stranieri si affidano spesso a sistemi di valutazione complessi basati, tra l’altro, su dati puntuali relativi al centro e alla concorrenza, informazioni che il nostro ufficio ricerca & analisi è in grado di elaborare attingendo, oltre che alle maggiori banche dati, ai benchmark Cogest.
Sempre in tema retailer internazionali. Stanno tornando a guardare il nostro Paese con interesse oppure dal vostro osservatorio non hanno mai smesso di farlo?
Non hanno mai smesso di farlo, se il centro commerciale è interessante, anche se il processo decisionale è diventato sempre più complesso e l’approccio sempre più prudenziale.
Secondo il vostro punto di vista, in Italia non si rischia una divaricazione sempre più evidente tra CC prime e non prime? E con quali conseguenze?
Direi di no. Al contrario, anche recenti acquisizioni hanno dimostrato un interesse crescente, da parte di Fondi e altri investitori, nei confronti di centri non prime, localizzati su tutto il territorio nazionali. Si tratta ovviamente di prodotti performanti, in grado di assicurare livelli di redditività assolutamente appetibili. Inoltre, proprio l’esistenza di una domanda rappresenta l’opportunità per complessi che abbiano il potenziale e le risorse per sottoporsi a restyling e/o ampliamenti destinati a incrementarne il valore.
La grande distribuzione sta valutando in questo periodo se la permanenza al Sud Italia è realmente possibile in termini di sostenibilità d’impresa. Per i CC cosa si può dire, qual è il vostro punto di vista?
Il Sud sconta ancora un ritardo infrastrutturale che, insieme ad altri fattori ambientali, ha precluso o disturbato lo sviluppo di alcuni grandi brand della GDO. Mancano, per dirne una, le piattaforme logistiche. Ciò non toglie che, proprio le barriere all’ingresso abbiano incentivato lo sviluppo di partnership con franchisee o distributori locali.