Lo sciopero del 22 dicembre con le polemiche che lo hanno accompagnato è ormai alle spalle. Le parti si rivedranno per chiudere, finalmente, il contratto nazionale di lavoro. E questo è già di per sé un dato positivo. Vale per il Ccnl che gestisce Confcommercio, vale per quello della gdo e del mondo cooperativo. Non avendo individuato e condiviso i temi qualitativi che caratterizzano qualsiasi rinnovo di contratto, la valutazione sulla sua congruità sarà sostanzialmente limitata all’entità dell’aumento economico e poco altro.
Ho sempre trovato una differenza sostanziale tra industria e grande distribuzione. Nella prima, le politiche per ingaggiare, gestire e far crescere le risorse umane sono centrali. I rispettivi Ccnl ne fissano i principi generali. Nella gdo, tolto qualche multinazionale e alcune realtà significative, sono lasciate alla buona volontà delle singole insegne. Il lungo stallo nel rinnovo del Ccnl non è casuale. Al centro del Ccnl non c’è il “cliente” (interno o esterno che sia). In questo percorso non sono state messe in campo le reciproche disponibilità e le competenze sufficienti per concordarne uno di nuovo conio lasciandosi alle spalle un testo ormai obsoleto.
Un contratto nazionale è lo strumento di governo del sistema. Per rinnovarlo seriamente non basta la buona volontà né la competenza dei responsabili delle risorse umane del comparto. Presuppone una professionalità specifica dove aspetto tecnico, sindacale e politico individuano sintesi e traiettorie che guardano al futuro della categoria. Non al presente. Non consiste nell’“imporre”, ciò che auspica una parte, sull’altra. Occorre condividere. Nel merito, oltre ai minimi tabellari, l’unico vero elemento di importante differenziazione rispetto all’industria, è il complesso sistema bilaterale che dal contratto discende. Comprende il welfare sanitario e previdenziale che andrebbero, però, rivisitati e rafforzati. Così come per la formazione e il supporto alle transizioni lavorative che andrebbero inserite, queste sì, come novità importanti. E tutto questo potrebbe costituire la vera moneta di scambio con il sindacato, unitamente a un rilancio della contrattazione aziendale, come strumento fondamentale, per gestire, i necessari incrementi di produttività e le possibili ricadute, nuove formule di erogazione del salario aziendale legate all’andamento del pdv, modelli organizzativi e inquadramenti aziendali attualizzati in un’ottica di insegna, più che di pdv, viste le concentrazioni nei territori.
Sul resto, il Ccnl, dovrebbe costituire una semplice base di riferimento. L’inquadramento previsto oggi e le declaratorie sono ormai fuori contesto. Più adatte a un’organizzazione tayloristica che a un negozio moderno. Meglio ridurle all’indispensabile e lavorare sui range economici della scala parametrale. I permessi retribuiti a vario titolo potrebbero essere inseriti in una diversa distribuzione del lavoro settimanale o mensile. Le sedi impiegatizie nei prossimi anni vivranno trasformazioni profonde sia per le professionalità richieste che per l’affermarsi del remote working che dovrebbe essere inserito. Più dell’anzianità e indennità occorrerebbe lavorare su riconoscimenti su progetti e obiettivi, valorizzando i contributi individuali e il coinvolgimento delle persone su tutto ciò che favorisce l’impegno, i risultati e l’engagement. Certo non tutto è fattibile in una tornata contrattuale. Ma un Ccnl deve individuare una qualità condivisa e una distintività precisa. Altrimenti non è un’occasione di crescita per entrambe le parti ma solo di scontro. E questo non porta da nessuna parte.