Ogni retailer si sarà trovato a fare i conti nel suo punto di vendita con l’insoddisfazione e la rabbia di un cliente che non trova più il suo prodotto preferito. Basta infatti un cambio del layout, l’evoluzione delle regole di merchandising -anche se danno più spazio e più visibilità- e ciò si traduce inevitabilmente in una manifestazione di irritazione da parte dei clienti. Come per i sentieri degli elefanti, noi tutti siamo abituati al nostro solito e invariabile percorso di spesa che ci permette di risparmiare tempo, con la sicurezza di non dimenticare nulla. Si vorrebbe un’architettura commerciale ferma, quando invece i punti di vendita dovrebbero essere in perpetua evoluzione, per accogliere nuove tendenze di consumo (prodotti plant-based, funzionali, super ingredienti e altre innumerevoli novità). “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo “Gattopardo”. Infatti, se esiste una costante nell’universo della gdo, sarà la difficoltà di muovere gli scaffali e di cambiare le attrezzature. Ma la modalità di fare la spesa sta cambiando in maniera radicale. Per la prima volta i consumatori adottano nuovi comportamenti di consumo più velocemente della capacità dei punti di vendita di adattarsi alle nuove tendenze di consumo. Gli store devono per forza diventare flessibili, unica opportunità per loro per poter rispondere al meglio ai cambi di stagionalità, creare nuova occasione di spesa, spingere l’innovazione. “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”: il Darwinismo -anche se pare che il naturalista non abbia mai pronunciato quella frase- è diventato un breviario per muoversi in tempi di incertezza.