Fare la storia: il ciclo continuo dell’innovazione sociale del brand

Una storia non è sinonimo di passato, ma è una trama di strategie tra un’idea di progresso e la società. Per superare la mitologia della marca, bisogna prima capirne i confini e le radici (da Mark Up 302)

L’identità del brand è uno dei tanti specchi di cui gli individui hanno bisogno per riconoscere la complessità della loro vita che è inserita nella vita di una società. Chi entra nel territorio dei consumi, ideando soluzioni a eterni bisogni inevitabilmente suggerisce come stare al mondo. In un passaggio epocale è normale che chi ha già una storia sia visto come colpevole di quel che non sta andando bene. Riprendendo però una frase di Munari, uno che di giochi con il tempo se ne intendeva e che li ha prestati con grande successo anche al marketing, il problema non è ringiovanire, ma restare vivi sempre. Lo storymaking (parola che vuole superare lo storytelling, ma ne è in realtà un rebranding) si ibrida con il brand activism, cioè con una predisposizione all’azione per cambiare le cose. Ma se modelli di storymaking come quello di Patagonia rappresentano un modello oltreconfine, esiste anche un modello italiano adottato da molte aziende che hanno già superato i cento anni, ricominciano a valorizzare la propria esperienza, riscoprono il patrimonio della propria identità.

Patrimonio di eccellenza

Il ministero dello Sviluppo Economico da aprile 2020 ha introdotto il registro dei marchi storici di interesse nazionale, considerando i 50 anni un tempo sufficiente per aver fatto la storia del made in Italy, con un uso continuativo del marchio che ora viene tutelato come patrimonio di eccellenza nazionale. Il primo marchio registrato è stato Schiapparelli, il secondo il nodo di Benetton, mentre gli ultimi due sul registro sono Rana e Fabbri. A oggi sono 161 le registrazioni fatte per valorizzare questo capitale. Pur avendo il marchio valore legale e finanziario, è anche una sintesi dell’immaginazione, dei valori, dei sogni che hanno sostenuto l’azione e il cambiamento nel tempo, grazie alla profondità del legame con i consumatori e il sistema degli stakeholder che il marchio stesso ha contribuito a costruire. “Più un marchio è riuscito a presidiare un percepito caratteriale lontano dal prodotto che rappresenta -spiega Gaetano Grizzanti, brand advisor, perito del Tribunale di Milano e autore del libro Brand Identikit- più questo marchio acquisisce il titolo di marca”.

Interpretazioni artistiche

La capacità della marca di saper stare in una relazione di vantaggio reciproco con la società è sempre esistito e a fare la storia di questa relazione sono spesso state le interpretazioni artistiche degli illustratori, che hanno creato un ponte tra i desideri e le aspirazioni delle famiglie di imprenditori e quelle dei consumatori. “Quando mio padre studiava la comunicazione per Boero parlava direttamente con Mario Boero, che delegava a lui il modo migliore di giocare con il senso del bello del consumatore, trasmettendo allo stesso tempo un valore importante per la famiglia di produttori di vernici -spiega Beppe Veruggio, proprietario della storica agenzia Firma-. Ogni lavoro metteva in gioco un nome personale, come succedeva per il committente, che spesso aveva come priorità la tutela del nome di famiglia: ci si sceglieva sapendo di poter contare sullo stesso stile di responsabilità, basata sulla coincidenza tra lavoro e identità”. Oggi Boero e molti altri marchi fanno parte o rappresentano gruppi internazionali, e oltre che nell’aggiornare la comunicazione, sono impegnati a rinnovare i loro modelli di business. L’obiettivo è rigenerare la storia di relazione con la storicità in un contesto modificato, tenendo chiara l’identità come soggettività capace di azioni. Oggi la virata epocale viene affidata a ingegneri e startup. Questo non significa non attingere alla fonte di una marca, perché è dalle radici che viene linfa e che si ritrovano le relazioni forti: la stessa logica che lega le BCorp come filiera virtuosa internazionale, la troviamo spesso tra marchi centenari, in cui ci sono relazioni informali basate sulla fiducia e la prossimità. Diverse associazioni stanno valorizzando questo network made in Italy, che si collega a esperienze familiari storiche di altri paesi o ad eccellenze anche di altri settori, come ha fatto il biscottificio Antonio Mattei di Prato dal 1858, che oltre alla registrazione del marchio nominativo e illustrativo in diversi Paesi, ha richiesto e ottenuto la registrazione del colore unico, il blu savoia, del tradizionale sacchetto legato a mano; fare la storia è in questo caso trasmettere la cultura del proprio territorio. “Il sacchetto blu è diventato la bandiera della città, racconta una storia e un territorio”, afferma Elisabetta Pandolfini titolare e responsabile commerciale e comunicazione. Anche nel rebranding il marchio Antonio Mattei ha sentito la necessità di tornare alle origini, con un restyling che è stato un‘attenta opera di recupero da parte di Laura Meffe, con la stessa logica del recupero di un bene culturale.

Alcuni esempi

LO STORYMAKING NELLA LETTERA DI ERNESTO PANDOLFINI DEL 1942

Non importa; la macchina si rimette in movimento (...) e limitatamente alle contingenze del momento, riprenderà il suo andare. Mi aiutano, senza togliergli dalle loro occupazioni: Alfonso e Raffaele come pure Adolfo e il Polidori. Alla vendita in negozio penso io stesso. In proseguo riprenderò il Bettarini. Stamane mi è giunta una partita di vini pregiati della rinomata Fattoria Antinori. Mi è stato preziosissimo ausilio in ogni campo il caro e vero amico Dott. Tacconi che mi ha dimostrato ancora una volta la sua fedele e vera amicizia. (...)

CONSERVE ITALIA, IL MARCHIO STORICO CONTRO L’ITALIAN SOUNDING

L’iscrizione nel Registro nazionale ci consente di proteggere in maniera ancora più efficace i valori identitari dei nostri marchi. Non mancano infatti i tentativi di imitazione soprattutto all’estero; proprio nel 2019 l’Euipo (Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale) ha dato ragione a Conserve Italia che si era opposta alla registrazione di un marchio omonimo da parte di un’azienda norvegese di bevande alcoliche. Per l’occasione, abbiamo illustrato l’attività svolta in oltre 70 anni di storia di Yoga e l’Ue ci ha dato ragione. Ora con l’inserimento nel Registro nazionale dei nostri marchi, siamo convinti che le nostre tutele al riguardo saranno ancora maggiori.
Federico Cappi, direttore marketing retail di Conserve Italia

PATAGONIA E IL BRAND ACTIVISM

Oggi l’azienda riconosciuta come storymaker per eccellenza è Patagonia, una società di grande integrità di azioni rispetto al bisogno fondamentale del fondatore: essere in connessione con la natura. Patagonia ha per ora solo sessant’anni, ma, complice anche la potenza d’urto del sistema BCorp e il nuovo contesto in cui l’ambiente è messo in primo piano, ha buone chance di diventare un marchio centenario, uno di quelli che diventano archetipi di un modo sostenibile di stare sul mercato.

ALCE NERO: LA VISIONE DEL BIOLOGICO COME PROFEZIA

Alce Nero è uno tra i brand che sta espandendo la propria esperienza sul mercato, grazie alla riconoscibilità acquisita sul biologico partendo dal presidio del mercato quando ancora era emergente e dalla costruzione di una rete di agricoltori offrendo un vantaggio commerciale. Oggi ha 40 anni e non è più un brand di nicchia: la sua visione ha vinto su altre ed è ben posizionato in tutti punti di vendita. Se è un nuovo candidato alla storia dei marchi lo sapremo fra qualche anno.

I CUSTODI DELLE STORIE

Tra le associazioni che conservano e rinnovano l’attitudine a fare la storia, anche grazie alla trama di racconti ed esperienze reciproche ci sono Aidaf, Italian Family Business, che rappresenta più di 200 aziende familiari e Uici, nata come associazione fiorentina e oggi estesa a livello nazionale: 40 associati con un fitto legame.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome