La politica deve avere il coraggio delle risposte

Da bracciante a ministro dell'agricoltura: faccia a faccia con Teresa Bellanova, ministra delle politiche agricole alimentari e forestali, sul ruolo delle donne, l'agricoltura, il futuro del Paese (da Mark Up n. 285)

La scelte di chiarezza, ha una storia emblematica, il lavoro è la sua battaglia di sempre. Teresa Bellanova, ministra delle politiche agricole alimentari e forestali, è una donna che capisce, non solo le esigenze, ma le sofferenze del Paese, perché è partita dalla terra e non scorda questa sua identità.

In che momento, lavorando come bracciante, si è detta: “Basta bisogna fare qualcosa per cambiare” e ha iniziato a fare politica?

Che bisognasse fare qualcosa per cambiare l’ho saputo subito: avevo sì e no 15 anni, sufficienti per capire cosa sono ingiustizia, violenza, ricatto, e vedere da molto vicino il nesso tra sfruttamento sul lavoro e ricatto sessuale. Dire “no” e trovare le ragioni per motivarlo è stato il mio primo atto politico. Lì ho capito che la politica non può limitarsi a fotografare le situazioni ma deve avere il coraggio delle risposte, la responsabilità delle scelte. Una lezione che non ho mai dimenticato.

Dall’azienda agricola al vertice del ministero, ancora oggi una donna deve confrontarsi con giudizi estetici. Cosa direbbe a una ragazza del 2020?

Le direi la verità e la incoraggerei in tutti i modi a non indietreggiare davanti a chi nega la nostra libertà di essere come vogliamo essere e a chi nega e svilisce la nostra autonomia utilizzando pregiudizi e luoghi fin troppo comuni dettati da secoli e secoli di cultura patriarcale. Penso ai dati drammatici sui femminicidi e all’escalation della violenza di genere. Si tratta di una battaglia di civiltà, da portare avanti a più livelli. La violenza non è solo fisica. Anche economica: se le donne guadagnano meno dei colleghi uomini, vengono discriminate negli avanzamenti di carriera, sono costrette a scegliere tra lavoro e maternità. Per questo conciliare vita e lavoro è essenziale. Le donne devono poter stare ovunque a proprio agio: in casa, ai tavoli in cui si decide, nelle Istituzioni e nei ministeri. Il riconoscimento concreto della differenza di genere passa da qui. Anche per questo ho introdotto con la legge di bilancio il bonus “donne in campo”, un fondo da 15 milioni di euro per garantire mutui a tasso zero per le donne imprenditrici agricole o che lo vogliono diventare. Vogliamo favorire gli investimenti al femminile nel settore primario, dove già oggi una impresa su tre è condotta da una donna.

In questo contesto, quali sono gli obiettivi del Mipaaf e in che azioni si tramuteranno?

Abbiamo davanti moltissime sfide a livello nazionale e internazionale. Nell’ultima legge di bilancio siamo riusciti a riportare l’agricoltura al centro dell’agenda economica e politica, sebbene in un contesto di risorse limitate. Le tasse agli agricoltori non aumentano e possiamo contare su 600 milioni di euro per il sostegno al settore nei prossimi tre anni. Con l’azzeramento dell'Irpef lasciamo quasi 200 milioni di euro alle imprese agricole per investimenti. Appena mi sono insediata, le priorità sono stati dossier urgenti come xylella e cimice asiatica. In entrambi i casi ho voluto fissare un metodo: ascolto, condivisione, scelte. Il solo modo per dismettere una logica emergenziale. Vale per tutto. I grandi temi del settore, come la scarsa aggregazione e la necessità di tutelare il reddito degli agricoltori, devono essere affrontati in questa prospettiva. A livello comunitario abbiamo un’altra partita aperta: il difficile negoziato per la prossima Politica agricola comune. Stiamo lavorando per avere una Pac più giusta, che sappia rispettare un’agricoltura come quella italiana che fa qualità, e che sia sostenibile sul fronte economico, ambientale e sociale. E abbiamo una parola d’ordine ai tavoli europei: i fondi non si tagliano.

Quale sarà la pianificazione contro i cambiamenti climatici e i dissesti idrogeologici?

L’agricoltura è parte determinante della soluzione. Dove c’è agricoltura, c’è presidio del territorio, cura dell’ambiente, ed è evidente come il dissesto sia causato anche da spopolamento e abbandono. È un settore che ha tutte le carte in regola per contribuire anche su questo fronte, adottando pratiche di buona coltivazione, buon consumo, pratiche di qualità. Dobbiamo puntare sempre di più sull’economia circolare. Abbiamo un grande lavoro da fare per dare risposte alle ragazze e ai ragazzi che ci chiedono futuro. Per questo uno dei temi prioritari del mio mandato è legato alla questione climatica. Stiamo lavorando per dare vita da gennaio a una consulta permanente presso il ministero, per la crisi climatica e le priorità agricole, costruendo insieme un piano strategico nazionale con enti, università, imprenditori, organizzazioni agricole e industriali, sindacati, parlamento, regioni e cittadini. Un processo partecipativo di scrittura del futuro agricolo, alimentare e ambientale del Paese.

Le aziende italiane faticano a crescere e fare sistema, come sosterrete quelle che sanno fare rete?

Abbiamo previsto 30 milioni di euro nel biennio 2020-2021 a sostegno dell’agroalimentare made in Italy, con interventi per il rafforzamento della competitività delle filiere a partire dalle produzioni d’eccellenza e dai mercati più importanti. Solo per i contratti di filiera grano pasta, avremo a disposizione 30 milioni di euro, a cui si aggiungono i 10 del 2019. Altre importanti occasioni ci verranno dai Distretti del cibo, che stanno prendendo il via. Proprio nelle ultime settimane abbiamo definito un piano da 150 milioni di euro di investimenti per le filiere agroalimentari italiane, grazie allo sblocco da parte di Ismea dei primi 63 milioni dei 100 stanziati con il bando per il settore agricolo e agroindustriale.

Molte imprese si impegnano contro il caporalato e le agromafie. Ha aperto tavoli con qualche associazione di categoria su questo tema?

Legalità, tutela e dignità del lavoro sono per me temi da cui non si prescinde. La lotta al caporalato è una priorità, come ministra e come donna prima di tutto, vista la mia storia e quella della terra da cui provengo (la Puglia ndr). La legge 199 del 2016 rappresenta un passo in avanti enorme, una best practice a livello europeo. La sua attuazione ha prodotto risultati importanti, come attestano le numerose indagini e operazioni in tutta Italia. Ma quella legge non è solo repressione, è anche e soprattutto prevenzione, rete del lavoro agricolo di qualità, contrasto alla concorrenza sleale e al dumping.

Con le ministre Catalfo e Lamorgese abbiamo dato il via al tavolo interistituzionale, coinvolgendo tutti i soggetti interessati, in primo luogo le organizzazioni di categoria, con un piano triennale per la prevenzione e il contrasto al caporalato. Dieci azioni prioritarie con impegni precisi, interventi coordinati su alloggi, trasporti, intermediazione legale del lavoro e controlli. I servizi sono cruciali perché mettono fine alla funzione stessa del caporale. Il passo successivo è estendere l’applicazione della legge agli altri settori, per sconfiggere analoghi meccanismi criminali ovunque si annidino e fare prevenzione.

La scadenza imminente del plastic free impone costi enormi alla filiera agricola. Sono previsti incentivi?

Io e Italia Viva siamo stati molto critici su un provvedimento che avrebbe messo in ginocchio un intero sistema produttivo, non avrebbe prodotto granché in termini di entrate per lo Stato e, paradossalmente, neanche sostenuto una strategia per la tutela dell’ambiente. Le aziende hanno già dichiarato impegno e disponibilità a una transizione produttiva e noi dobbiamo essere accanto a loro perché accada senza mettere in crisi lavoro, occupazione, imprese. La politica non può dare risposte facili a problemi complessi. Le imprese non sono il nostro nemico.

Quali battaglie ritiene vinte dalla sua generazione e quali errori, invece, sono stati compiuti?

Le dico questo: qualità della politica, delle classi dirigenti, della democrazia, si tengono. Purtroppo, dinanzi ai populismi dilaganti e a leader politici che basano le loro fortune sulla costruzione del nemico sociale e sull’odio, non è un ragionamento molto frequentato. Eppure è quello che le nuove generazioni chiedono: tornare a credere nella politica. Credo che l’errore più grande sarebbe non essere all’altezza, non riuscire a siglare questo affidamento. Un errore imperdonabile.

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