La trasformazione dei social network in piattaforme sempre più orientate al business fa dell’evoluzione advertising uno snodo fondamentale. È ormai chiaro a tutti i marketer, infatti, che il comparto necessiti di trovare nuovi format e spazi capaci di bypassare la crescente cecità e insofferenza degli utenti nei confronti dei messaggi pubblicitari (i più giovani vi concedono solo 8 secondi di attenzione).
Questa esigenza, dei media e delle aziende, trova nelle neonate celebrità della rete una possibile risposta positiva, facendo di queste ultime intermediari privilegiati per la comunicazione. Non parliamo solo dell’utilizzo degli influencer come testimonial (o cripto-testimonial) ma di un costante tentativo di monetizzazione della popolarità attraverso formule diverse.
È in questo contesto che si colloca la recente decisione di Twitter di estendere il programma Amplify anche ai singoli individui, che una volta registrati e approvati potranno scegliere di inserire un pre-roll pubblicitario prima dei loro video, ottenendo in cambio dal social una parte di quei ricavi.
La formula, attivata per ora solo negli Stati Uniti, è simile a quella di You Tube e prevede la possibilità saltare l’annuncio. La percentuale che il social garantirebbe tuttavia ai creatori dei filmati si preannuncia di gran lunga più generosa rispetto a quella di YouTube: 70% contro il 55%.
Si tratta di una soluzione con buon potenziale, che lascia aperta tuttavia la questione dell’efficacia a lungo termine. Gli influencer risultano infatti amati e seguiti soprattutto per la loro spontaneità e capacità di dialogo orizzontale con la community. Nel tempo, il loro progressivo passaggio a professionisti del social media marketing potrebbe minarne credibilità e garanzia di performance.