di Federico Capeci - Chief Digital Officer & CEO TNS Italy
L’ossessione per i Millennials è arrivata anche in Italia, il più vecchio dei Paesi al mondo, approdando sui tavoli di uomini di marketing e dei pubblicitari con tutte le sue domande e qualche frustrazione. Sono pochi, è vero (a seconda delle definizioni, tra i 7 e i 9 milioni di individui al massimo) ma da sempre i giovani rappresentano l’ambizione del marketing: irraggiungibili, difficili, mobili, i giovani sono stati sempre capaci di premiarci con passaparola, eccitazione e del sano conformismo che premia i volumi di vendita. Per questo, paradossalmente, le marche giovani sono state sempre le più vecchie del mercato: Coca-Cola, Nutella, Nike, Adidas, sono brand oramai centenari dei giovani e dei non più tali. È ancora così?
I giovani di oggi sono ancora un’assicurazione sulla vita dei brand? Basta davvero conquistare i giovani per garantirsi un prospero futuro? È possibile conquistarli? Di queste domande si occupa questa rubrica che esordisce in questo numero di Mark Up, affrontando la tematica secondo la prospettiva delle strategie di azienda -dal marketing alla comunicazione, dal prodotto alla sua commercializzazione- e magari scopriremo alla fine che la soluzione non sarà necessariamente “farlo online”! A proposito di sorprese, si è parlato tanto dei Millennials e tanto si continuerà a scrivere, ma spesso con pochi dati a supporto e con occhi viziati da stereotipi o esperienze personali.
Per questo, iniziamo proprio con i dieci miti da sfatare quando parliamo di Millennials.
1) Narcisisti Postano in ogni momento cosa fanno, con chi sono, dove sono, cosa provano, fotografandosi e caricando video spesso surreali. E poi ci sono gli instagrammer, gli youtuber, i blogger, i selfie… ma attenzione, non sono gesti di narcisismo. Per i Millennials, il condividere esperienze (non sono mai semplici informazioni, anche quelle che ci appaiono tali) è una prerogativa fondamentale del loro essere sociale, non una scelta di autocompiacimento. Non è un dire “Ciao, sono qui, chi mi guarda?”, ma una semplice manifestazione di presenza, spesso attuata per condividere e generare una risposta in logica co-creativa. Il selfie, quindi, diventa un gesto di comunicazione perfetta, in grado di comunicare in un sol colpo il soggetto, il momento, il sentimento provato. Le aziende possono imparare dai Millennials a comunicare in modo istantaneo un insieme così complesso di elementi: il brand selfism, ovvero la comunicazione dell’esperienza, diventerà una disciplina di marketing?
2) Esterofili Troppo spesso, e senza attinenza con i dati reali, si parla di fuga di cervelli all’estero e di giovani che vedono il mondo fuori dall’Italia come maggiormente aspirazionale rispetto alle cose nostrane: le percentuali di migranti tra i Millennials sono minori che in passato.
Inoltre, se chiedete ai ragazzi in quale azienda andrebbero a lavorare, riporteranno insieme ai brand cult tech (Google, Microsoft, etc) i brand di successo italiani come Ferrari, Fiat, Barilla, Ferrero, ma anche Eni e Enel. Aziende italiane che tuttavia hanno saputo guadagnarsi un respiro internazionale. La posizione geografica, quindi, non influisce sulla preferenza di questi ragazzi, anzi, meglio l’italianità se possono scegliere, ma purché non significhi esser limitati al locale, in ogni senso, dalla dislocazione degli uffici allo stile delle comunicazioni. Lo spazio, così come l’abbiamo conosciuto, non esiste più per i Millennials, abituati a viaggiare con pochi euro, connessi con tutto il mondo con un click, abituati a leggere e rispondere a post in diverse lingue, aiutati semmai da Google Translator. Buone notizie per le aziende italiane, ma anche per le aziende multinazionali che non sono più ricondotte ad un mondo lontano e distante.
3) Inerti e pessimisti rispetto al futuro Ci sembrano senza mordente, energia e voglia di combattere, come se a loro andasse bene tutto. Eppure sono la generazione più informata della storia, alla loro età, grazie al web, hanno immagazzinato molte più informazioni di quante ne avessero ascoltate intere generazioni.
È vero, non hanno programmi per il futuro e se chiedete loro di pensare a cosa faranno da grandi risponderanno incertamente, ma non dobbiamo per questo giudicarli con i nostri occhi, di chi è cresciuto con chiare prospettive o presunte tali.
I Millennials non hanno un orizzonte così ampio, ragionano su progetti e non su programmi di lungo periodo. Si danno o richiedono un obiettivo a breve e su quello si impegnano. Per lo stesso motivo tendono a non essere fedeli alle marche: di volta in volta selezionano la marca più funzionale al loro progetto: non chiedete loro di partecipare a programmi di loyalty, ma guadagnate l’attinenza ai loro obiettivi in ogni momento.
4) Acquirenti compulsivi e frivoli Non badano al denaro, comprano le cose più sciocche che si trovano davanti, di cui si innamorano nel momento. Li vediamo usare il pc o il telefonino e rispondere in modo frenetico agli stimoli senza riflettere. Ne siamo certi? Essere cresciuti con il web significa aver acquisito un approccio al processo decisionale ben più ponderato e razionale del passato. La scelta di acquisto viene preceduta da un confronto sui social media e anche nel momento stesso dell’ingresso nel punto vendita possono contare sul proprio personal shopper, cercando con il telefonino le caratteristiche e i prezzi migliori del prodotto che il commesso gli ha appena consegnato in mano. È vero, sono attratti dalle comunicazioni sorprendenti e per queste si affezionano tremendamente alle marche, ma oggi, per questi ragazzi, l’incidenza delle altre 3 P (product, price, placement) è anche più importante della Promotion.
(segue sul prossimo numero)