Alcuni brand uniscono, altri dividono. Da un lato le marche, attraverso processi inclusivi, diventano agente politico del cambiamento sociale per l’inclusione delle diversità. Dall’altro spesso si confrontano con pratiche e linguaggi in rete sempre più aggressivi e invasivi. Sarà presentato a Trieste il “manifesto della comunicazione non-ostile”, una carta che riunirà le riflessioni raccolte sul web per ridurre, arginare e combattere le pratiche e i linguaggi negativi della rete. “La ferita provocata da una parola non guarisce”: tweet, post e status feriscono, fanno arrabbiare, offendono, denigrano, allontanano. Sono cioè il contrario di un modello di comunicazione inclusiva. Se è vero che i social network sono luoghi virtuali dove si incontrano persone reali, viene da chiedersi chi siamo e con chi vogliamo condividere questo luogo. Un panel speciale dell’evento “Parole O_Stili”, al quale partecipano brand impegnati nello sviluppo di un linguaggio inclusivo, sarà dedicato al mondo del business e dell’advertising. Il mondo del web è infatti inquinato da strategie di marketing vissute dai clienti come aggressive e spregiudicate. Molti utenti reagiscono a loro volta, sfruttando gli spazi della rete per denunciare ingiustizie vere o presunte, per lamentare disservizi, per sabotaggio ideologico o gusto del trolling, per sfogare frustrazioni e rabbia accumulate contro marche che continuano a rappresentare negli spot figure nelle quali non si riconoscono. Che responsabilità ha un brand nella definizione del mondo che ci circonda? È possibile vendere al consumatore e sensibilizzarlo in modo costruttivo?