Le persone dimenticano, la rete no. La verità è che, ad oggi, il diritto all’oblio ve lo potete anche scordare. Se sulla vostra pagina social avete pubblicato un post o un commento clamorosamente sbagliato, di cattivo gusto o peggio ancora disonesto, cancellarlo vi servirà a ben poco. Qualcuno dei vostri interlocutori virtuali l’avrà già memorizzato e salvato con uno screenshot, soprattutto se siete un marchio o un’azienda nota. Risultato: avrete perso il controllo su quel contenuto per sempre.
Errare è umano, direte voi, anche se siamo comunicatori di professione. Verissimo, soprattutto se si tratta di una neonata disciplina come il social media marketing, che è ancora tutta in via di sperimentazione e costruzione. A non essere ammissibile è la mancanza di apprendimento che, spesso e volentieri, oltre che da incompetenza deriva da un atteggiamento obsoleto e un po’ snobistico nei confronti della propria audience, vista solo ed esclusivamente con sguardo top-down.
Se c’è una cosa che i casi di successo in rete ci hanno insegnato è che la comunicazione di brand sui social funziona quando si inserisce alla pari e con spontaneità nel dialogo orizzontale, quando si pone come aperta e trasparente accettando di cedere potere. Si pensi alla nascita di figure come gli influencer, reputati dagli altri utenti affidabili quasi come un amico (ricerca Twitter).
Quello che sui social risulta invece poco performante è la creatività forzata e decontestualizzata dalla sensibilità attuale, quella che non avendo idee originali finisce per ricorrere a stereotipi di vario genere (spesso di genere) e che quando si trova messa alla berlina reagisce tirandosi ulteriormente la zappa sui piedi.
Abbiamo già visto quali sono le 5 regole base per tutelare la brand reputation e gestire i feedback online, vediamo ora 5 casi di Epic Fail di grande insegnamento per tutti (perché errare sarà anche umano, ma perseverare oltre che diabolico è piuttosto ottuso).
- Fertility Day. La palma d’oro dei più recenti Epic Fail della comunicazione va al nostro Ministero della Salute con la campagna lanciata a favore della fertilità, che ha trasformato un tema delicato in un’offesa generalizzata a chi di figli non può averne, a chi non ne vuole, e a chi ne vorrebbe ma non si trova in condizioni sentimentali od economiche per farlo.
Senza entrare nel merito della questione, basti osservare l’ondata di reazioni indignate che si sono diffuse in un battibaleno in rete per giudicare l’efficacia della proposta. Pur non essendo una campagna nata per i social, questi canali dimostrano ancora una volta come alle persone venga data la possibilità di riappropriarsi completamente di un messaggio e restituirlo in forma diretta e immediata (con spot ironici dedicati, immagini che ripropongono le locandine modificate, ecc.)
Oltre al cattivo gusto della forma, che rimanda con un pizzico di terrore alla chiamata alle armi dello zio Sam, tra i vari insegnamenti del Fertility Day (ad oggi ancora indetto per il 22 settembre) vi è quello che non si può prescindere da un’analisi del sentiment antecedente una qualunque azione comunicativa (ancora una volta, bando all’arrogante approccio top-down).
- Il caso di Lancia con la campagna #IlCalcioDelleDonne è il classico esempio di Epic Fail basato su uno stereotipo di genere. L’iniziativa lanciata in occasione degli Europei 2016 puntava a spiegare il gioco del calcio al target femminile, delineando il significato di termini basilari come “cambio” e “ammonizione” tramite parallelismi a sfondo lezioso.
Complimenti per il sessismo da quattro soldi, @LanciaAuto.#IlCalcioDelleDonne #Fail pic.twitter.com/PpFCUX89aj
— Adil (@unoscribacchino) June 17, 2016
Anche in questo caso le reazioni non si sono fatte attendere e il brand automobilistico si è correttamente scusato, ritirando i tweet. La vicenda dimostra come un’ironia scontata e di stampo sessista, che può piacere forse a un determinato segmento maschile, sui social diventi particolarmente pericolosa perché finisce per indirizzarsi volente o nolente a tutti i nostri follower e fan, che vanno quindi considerati tout court.
Esperienze di successo all'estero sempre più frequenti, come la campagna Like a Girl di Always o quella This Girl Can di Sport England, hanno inoltre ormai chiarito che per parlare al target femminile quello che attualmente funziona meglio è il senso di empowerment, non di reclusione in standard precostituiti.
- Melegatti. Da un lato c’è Maria De Filippi, conduttrice e ideatrice di format dalle capacità comunicative indiscusse, che porta in onda per la prima volta nella storia della televisione italiana il corteggiamento omosessuale (il programma è Uomini e Donne). Dall’altro ci sono brand che in questa tematica continuano a incappare commettendo errori ingenui.
Un caso risalente a qualche mese fa è quello di Melegatti e del post pubblicato su Facebook “Ama il prossimo tuo come te stesso…basta che sia figo e dell’altro sesso”. Le scuse dell’azienda non si sono fatte attendere: “La gestione sulla comunicazione è affidata a un’agenzia esterna che ha pubblicato senza autorizzazione. Melegatti S.p.A. si dissocia dall’operato di tale agenzia che ovviamente è stata sollevata dall’incarico e si scusa formalmente con chiunque si sia sentito offeso dal contenuto”.
- Patrizia Pepe. Storico l’Epic Fail del fashion brand, che dopo aver pubblicato su Facebook la foto di una campagna con una modella evidentemente molto magra è stato assediato dalle critiche legate al tema anoressia.
In questo caso a fare da testimonianza negativa è stata soprattutto la pessima gestione del problema, che avrebbe potuto essere facilmente risolto (ad esempio facendo parlare direttamente la modella delle proprie condizioni di salute) e che è stato invece ingigantito ad oltranza dalla risposte dure, scontrose e di chiusura degli incaricati della pagina.
- Decathlon. Diversa e nettamente migliore è stata invece la gestione di Decathlon in relazione a una foto della campagna #LoFaccioPerché (il riferimento è allo sport), accompagnata dalla motivazione “perché in campo non servono libri”.
Il tweet di un utente che commentava “Possibile che sport e cultura non possano convivere e lavorare insieme?” si stava apprestando a diventare virale, ma il ritiro dell’immagine e la pronta risposta dell’azienda hanno arginato il fenomeno, trasformandosi addirittura in un boomerang di positività e in occasione per mostrare la propria considerazione dell'altro, con tanto di ringraziamento da parte dell’interlocutore.
Possibile che #sport e #cultura non possano convivere e lavorare insieme? #bellaschifezza @decathlonitalia pic.twitter.com/vkzp6lBUc3
— Davide Borgo (@dborgo) August 23, 2016
.@decathlonitalia grazie! pic.twitter.com/wXjspeevZz
— Davide Borgo (@dborgo) August 24, 2016